L’Armenia, gli armeni – cento anni dopo
08 maggio 2015
Intervista a Maria Immacolata Macioti, docente di Sociologia generale alla Sapienza
Lo scorso 24 aprile è caduto il Centesimo anniversario del Medz Yeghern (il Grande Male), nome con cui gli armeni chiamano lo sterminio sofferto, per mano dei turchi, all’inizio del secolo scorso e riconosciuto dagli storici come il primo grande genocidio del Novecento. La professoressa Maria Immacolata Macioti, già docente presso l’Università la Sapienza di Roma in Sociologia generale e delle religioni, ha da poco dato alle stampe il libro “L’Armenia, gli armeni - cento anni dopo”, ora in libreria per Guida editori.
Cento anni dopo quello che è stato definito il primo genocidio del XX secolo, è arrivata – anche se a dire il vero lei se ne occupa da molto tempo – l’occasione per raccontare la storia di un popolo straordinario, quello armeno, che in realtà ancora poco si conosce.
«Quello armeno è un popolo davvero interessante, dedito allo studio, alle arti e alla cultura. Celebre è stata l’invenzione dell’alfabeto armeno – tra il 404-405 – che il monaco Mesrop Mashrots volle creare per poter tradurre la Bibbia: un Testo che ancora oggi è alla base della lingua scritta e parlata dal popolo armeno. Nonostante la lingua armena, come è normale che avvenga nel tempo, si sia pian piano modificata, conseguenza dovuta anche alle vicissitudini storiche che hanno colpito questo popolo, la base dialettale rimane legata all’alfabeto di Mashrots. Le migrazioni del popolo armeno hanno generato nel mondo comunità molto coese – la diaspora armena –. Oggi infatti è possibile ascoltare diverse accentuazioni dialettali in base alle zone di residenza, rimane tuttavia comune la base linguistica risalente appunto a quella traduzione della Bibbia. Gli armeni con fierezza sostengono di essere il primo popolo cristiano grazie alla conversione del loro Stato, grazie a S. Gregorio armeno, il santo noto anche in Italia e celebrato nella bella chiesa eretta a suo nome a Napoli. Dove proprio recentemente si è tenuto un incontro tra i catholicoi armeni e il cardinale Crescenzio Sepe. In quel luogo ricco di spiritualità è possibile oggi ammirare una croce armena o khatckar, priva del corpo di Cristo e nella quale invece affiorano dei germogli alle sue estremità, proprio per rappresentare la vita e la resurrezione».
Il popolo armeno, lei ricorda nel libro, è stato: “segnato da una lunga storia, fatta di migrazioni, amarezze, derive violente e speranze”.
«Le persecuzioni hanno rafforzato il sentimento di reciproco riconoscimento e di solidarietà, oggi infatti il popolo armeno si sente, malgrado la diaspora, molto unito. Proprio la diaspora sostiene, anche economicamente, la piccola e povera Repubblica di Armenia, attraversata da molti problemi. Sono stata in visita recentemente a Gyumri, una città devastata dal terremoto negli anni novanta, che ancora oggi appare in gravi difficoltà e dove la gran parte della popolazione sopravvive solamente grazie agli aiuti che vengono fatti arrivare dalle comunità della diaspora armena. D’altro canto, la storia travagliata di questo popolo, i rischi odierni, nati dai contrasti con la Turchia – per il mancato riconoscimento –, oltre che con l’Azerbaigian – che vorrebbe riprendere sotto il proprio dominio il Nagorno Karabakh, oggi repubblica indipendente, popolata da armeni –, stanno portando il sentimento comune verso un certo nazionalismo. L’Armenia è un paese colto, dove uomini e donne riconoscono alla chiesa un ruolo importante, direi privilegiato. In quella terra fioriscono gli studi, tanto che nell’università di stato di Yerevan sono presenti molti studenti iraniani ed europei, grazie agli scambi culturali con università del mondo».
A tal proposito un suo libro, tradotto in armeno, è stato presentato pochi giorni fa proprio all’Università di Yerevan.
«E’ stata una bella soddisfazione. All’università i colleghi di sociologia e di armenistica hanno presentato il mio libro: Il genocidio armeno nella memoria e nella storia, che la stessa università ha deciso di tradurre. Al direttore di armenologia ho portato e regalato anche una copia del mio ultimo libro edito da Guida. Nonostante le traversie, le difficoltà legate alla frammentazione e le sofferenze legate alla negazione del genocidio, la società armena è pronta al confronto intellettuale: stanno infatti preparando un grande incontro internazionale, proprio per interrogarsi sui temi sopra elencati, per il prossimo ottobre».
A Roma si è tenuta, pochi giorni prima del Centenario, una settimana di incontri, riflessioni e dibattiti dedicati proprio all’Armenia e dal titolo: “Armenia: metamorfosi tra memoria e identità”, lei era tra i promotori dell’iniziativa. Qual è stata la risposta del pubblico?
«Poche persone hanno avuto il privilegio di poter seguire a Roma l’intensa settimana armena di studi, di musica, di cinema. Ma chi ha avuto questo privilegio ne ha certamente tratto giovamento. Di ritorno dall’Armenia ho incontrato una signora che ha seguito attivamente la settimana. Mi ha confessato l’interesse che avevano suscitato in lei i racconti del figlio di Wegner, proprio sull’opera del padre: le fotografie documento del genocidio armeno. Tra i protagonisti della settimana ricordo appena, Gabriella Uluhogian e Marcello Flores, con due importanti fili conduttori: l’idea che ormai questo genocidio deve essere inserito nei libri di storia e che per una ricostruzione storica sono certamente importanti gli archivi storici ma anche le narrazioni familiari, le memorie condivise, i carteggi. Da questo punto di vista il centenario ha rappresentato e rappresenta una grande occasione perché si è potuto approfondire e tornar a parlare su una tragedia del nostro tempo. Un po’ ovunque nel mondo sono uscite e stanno uscendo pubblicazioni: importanti quelle tratte dagli archivi segreti del Vaticano e dall’Archivio della Congregazione per le Chiese orientali (Aco), ma anche dagli archivi consolari».
A proposito di vaticano, chi ha dato una forte scossa al dibattito è stato proprio papa Francesco con l’improvvisa dichiarazione di riconoscimento del genocidio.
«Le dichiarazioni di papa Francesco sono state molto apprezzate in Armenia. E anche noi italiani abbiamo ricevuto attestati di stima per le sue chiare parole. Anche la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) lo ha fatto attraverso chiare e puntuali dichiarazioni per il centenario. La storia tuttavia andrebbe studiata e ricordata non solo in occasione delle ricorrenze».
Sono on line le registrazioni della settimana di eventi organizzata a Roma lo scorso marzo.