Quanto siamo complici dell’abuso delle lavoratrici romene?
15 aprile 2015
Denunciare non basta, bisogna cambiare il sistema: dietro allo sfruttamento delle migranti ci sono interessi economici e mafia
A metà marzo, Domenico Manzione, sottosegretario al Ministero dell’Interno, ha risposto ad alcune interrogazioni parlamentari sui fenomeni di violenza nei confronti di lavoratrici straniere e sullo sfruttamento nel settore agricolo nel ragusano dopo che, alcuni mesi prima, era venuta alla luce la situazione di schiavitù, abuso e ricatto sessuale alle quali erano costrette le lavoratrici romene nei campi. La risposta del Governo ha sostenuto che «il fenomeno sembrerebbe non significativamente esteso» poiché negli ultimi anni gli episodi denunciati sono stati pochi, «due casi di violenza negli anni 2012 e 2013, uno nel 2014» secondo il sottosegretario, mentre i dati sugli aborti nella zona «effettivamente registrano delle anomalie: nel quadriennio sono stati 309, di cui 132 hanno riguardato cittadine rumene». «Si basano sui numeri delle denunce, ma la caratteristica di queste situazioni è la segregazione e proprio la difficoltà a denunciare – dice Antonello Mangano, giornalista de l’Espresso, autore di alcune inchieste sul caso – mascherarsi dietro ai numeri e alle denunce è meschino».
Come legge questa posizione del Governo?
«Intanto la cosa grave è che il Governo abbia risposto dopo molti mesi a questa situazione gravissima; poi, è chiaro che i numeri su cui si basano sono quelli delle denunce, ma la caratteristica di queste situazioni è la segregazione e proprio la difficoltà a denunciare: persone che hanno difficoltà persino a procurarsi l’acqua potabile, difficilmente potranno entrare da sole in un circuito di giustizia. L’unico progetto che potrebbe seguirle in un’ottica di emersione viene finanziato per sei mesi alla volta: questo ci fa capire anche la volontà politica di risolvere il problema, a tutti i livelli: sul territorio c’è la volontà di proteggere l’economia locale e di non fare “cattiva pubblicità”; il Governo ha dato questa risposta assolutamente insufficiente, come se nascondendolo il problema potesse risolversi da solo; persino il Ministero degli Esteri romeno ha risposto allo stesso modo».
Lo sfruttamento fa sistema.
«Sì, ma è un sistema molto più ampio di quello che pensiamo. Se andiamo in un supermercato, scopriamo che i prodotti fuori stagione vengono da lì, perché si possono produrre solo in serra: le complicità riguardano anche la grande distribuzione, i supermercati, italiani ed europei, considerato che quella zona esporta molti prodotti. Le complicità sono ampie e il concetto di responsabilità sociale dell’impresa in Italia deve essere ancora introdotto. Bisognerebbe avere il coraggio di cambiare e inventarsi un modello in cui i diritti e la qualità siano alla base, non la chimica e lo sfruttamento. Dobbiamo avere il coraggio di farlo, e non proteggere l’esistente a qualunque prezzo, perché dietro può esserci un crimine come lo sfruttamento sessuale di massa: mascherarsi dietro ai numeri e alle denunce è meschino».
Dietro a questo sistema c’è anche la criminalità organizzata?
«L’impresa mafiosa sta benissimo nel mercato italiano, ma a tutti i livelli. Non dà fastidio a nessuno se non ai magistrati quando ci sono azioni di tipo repressivo. Io vedo una filiera dove uno degli attori principali può essere tranquillamente l’impresa mafiosa, purché assicuri buoni prezzi; qualunque crimine è tranquillamente accettato, purché il sistema economico funzioni. Questo tipo di mentalità, basata sulla violenza, sulla paura, favorisce l’omertà; non vedo però una specificità siciliana in questo momento: non ho sentito nessun supermercato che acquista i prodotti in quelle zone prendere posizione su questo, per esempio. L’omertà del piccolo produttore siciliano è assolutamente uguale a quella del grande supermercato con sede a Milano che non dice una parola sui suoi fornitori siciliani».
Parlando delle vittime, come operano le strutture che aiutano queste donne?
«Sono i programmi antitratta che hanno una configurazione molto precisa e vengono considerati uno degli interventi di eccellenza italiani in ambito sociale ma che in questi ultimi anni, per una precisa scelta politica, hanno perso i finanziamenti. L’idea di base è di dare delle alternative alle donne che sono vittime di uno sfruttamento sessuale e lavorativo, e permettere loro di emergere da questa situazione. In questa situazione, quanto più una donna è autonoma, meno è ricattabile: è chiaro che dovrebbe essere un diritto, non un progetto offerto da una cooperativa, ma purtroppo si tratta di situazioni estreme. Per fortuna ci sono persone che lavorano sul territorio e denunciano. Grazie a loro sono emerse queste storie. C’è molta omertà, ma c’è anche il coraggio di chi offre aiuto».
Come andare avanti dopo la risposta del Governo?
«Più di prima resta importante continuare a monitorare la situazione, poi è fondamentale lavorare sull’aspetto sindacale: è come avere delle industrie, delle fabbriche, aperte tutto l’anno: le serre fanno raccolti in continuazione. Sarebbe un passo avanti avere una regolarizzazione dei contratti, mentre ora il patto è non fare controlli per fare girare l’economia locale».
A proposito di contratti, un rapporto di Medici Per i Diritti Umani ha sottolineato che spesso il livello di regolarità è elevato, anche se di facciata.
«Ci sono due atteggiamenti: il nero totale, nessun contratto. Oppure il grigio, una forma di tutela in cui si aprono contratti e poi si paga molto meno del dovuto. Ma sono entrambi molti simili, il danno che viene fatto alla collettività è enorme. La cosa che non riusciamo a capire è che l’evasione, tra l’altro, ci danneggia tutti. Abbiamo un basso prezzo dei prodotti agricoli, ma poi abbiamo un danno alla collettività e la mancanza di diritti per le persone, che si ripercuote su tutti. Molti italiani che lavorano in agricoltura pagano questo abbassamento generale dei diritti».
Il rapporto parlava anche dei campi come “laboratorio” dello sfruttamento lavorativo.
«Questo lo diciamo da tempo: può sembrare che si chieda un intervento umanitario nei confronti di stranieri, in realtà non è così. Le situazioni estreme sono davvero un laboratorio per l’abbassamento dei diritti di tutti. Quando permetti a un imprenditore di non pagare, si sente svincolato e diventa padrone, torniamo ad una sorta di feudalesimo. Il paradosso è che abbiamo la brutalità a livello ocale, con il ritorno a un passato che sembrava scomparso, e dall’altra un’economia globalizzata, moderna, con export in tutto il mondo».