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Dinamiche «settarie» per una chiesa aperta

Un evento ecumenico a Torino per celebrare il 70° anniversario della morte di Dietrich Bonhoeffer

Più di cento persone a parlare di Dietrich Bonhoeffer per quattro ore con il prof. Fulvio Ferrario, uno dei massimi conoscitori italiani del teologo protestante tedesco assassinato dai nazisti settant’anni fa (il 9 aprile 1945) nel Lager di Flossenbürg. Così ieri sera, nella Casa valdese di Torino, il Centro evangelico di cultura «Arturo Pascal» e il cattolico Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic) hanno voluto celebrare insieme l’anniversario della morte di un testimone della fede cristiana negli anni bui del nazismo, il cui pensiero continua a esercitare un forte fascino sui credenti di tutte le chiese.

La serata è stata l’occasione per spaziare su vari aspetti della vita e del pensiero di Bonhoeffer: dalla rigorosa formazione di stampo prussiano-luterano all’impegno nel nascente movimento ecumenico internazionale, con la sua proposta di convocare un concilio ecumenico per proclamare il Vangelo della pace, alla precoce consapevolezza della centralità della questione ebraica, fino alla militanza nella «chiesa confessante» opposta al nazismo e al coinvolgimento nella congiura contro Hitler.

Fra tutti i temi affrontati, vorrei soffermarmi su uno, che mi sembra di particolare attualità per le nostre chiese d’Europa, che ormai stanno tutte (chi più chi meno) diventando delle realtà di minoranza. Pur venendo da un’esperienza di protestantesimo solido e classico come quello tedesco, ha rilevato Ferrario, Bonhoeffer aveva un «talento per cogliere la diversità»: durante un soggiorno di studio a New York scopre Harlem, le chiese nere, il mondo degli «spiritual» e torna a casa cambiato, in qualche modo «convertito» da una fede più che altro «pensata» a una fede vissuta. 

Anche il viaggio del diciottenne Bonhoeffer a Roma ebbe un forte impatto su di lui: non solo fu colpito dalla «cattolicità» della Chiesa cattolica, dal suo orizzonte cosmopolita, ma anche da una breve visita a una «setta» in cui poté assistere alla celebrazione di battesimi di adulti. La «setta» in questione, come lo stesso Ferrario ha contribuito a determinare, era la Chiesa battista di via della Lungaretta, tuttora attiva nel quartiere romano di Trastevere.  Pur appartenendo a una «chiesa di popolo» Bonhoeffer si rendeva conto che il rischio della chiesa di massa è quello di diventare una conchiglia vuota, e che nella «setta», cioè nel piccolo gruppo cristiano «militante», c’è un messaggio di cui la chiesa di massa ha bisogno. «Un cristianesimo insipido non interessa più nessuno», ha detto Ferrario: «La chiesa sarà sicuramente minoranza e non può più vivere come una chiesa di massa». Per questo, a una chiesa che voglia continuare a vivere la sua fede nel mondo, a una chiesa che voglia essere aperta, paradossalmente servono anche delle «dinamiche settarie» (in senso rigorosamente sociologico): servono cioè dei credenti impegnati, disposti a sostenere la loro chiesa con la loro presenza costante e il loro impegno finanziario, credenti liberi, certo, ma consapevoli che «la libertà nasce dalla disciplina. Perché la fede non è un’abitudine, ma non c’è fede senza buone abitudini».