Le torture dell'Italia
08 aprile 2015
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per tortura alla scuola Diaz di Genova, durante il G8. Attesa una legge entro l’estate
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per tortura per quanto accadde nel blitz delle forze dell'ordine alla scuola Diaz, durante il G8 2001, a Genova. La Corte inoltre ha sanzionato il nostro paese per la mancanza di una legislazione adeguata, che permetta di prevenire e punire questi atti. «Una condanna attesa da molto tempo, perché era chiaro che l’Italia fosse carente nel prevenire e punire in modo effettivo la tortura – dice Luca Pasquet, dottorando in Diritto Internazionale all’Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo di Ginevra – l’Italia infatti ha ratificato una Convenzione contro la tortura che la obbliga a criminalizzare questo tipo di reati, a intervenire in modo tempestivo aprendo un’inchiesta e punire le persone che l’hanno commessa». Nel nostro paese se ne discute dal 1989, senza giungere ad una conclusione. Nei prossimi giorni la Camera dovrebbe discutere un testo definitivo che “entro l’estate” il Senato potrebbe trasformare in legge, secondo la presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. «Questa condanna, di cui in Italia parliamo tutti, non ha sorpreso la Corte di Strasburgo – continua Pasquet – non si trova nemmeno tra le sentenze in evidenza sul loro sito internet: l’Italia è in una situazione che va modificata da tempo».
Qual è l’aspetto più interessante di questa sentenza secondo lei?
«Quelle che vengono chiamate dalla Corte “obbligazioni procedurali” collegate al diritto di non essere sottoposti a tortura: la Corte divide tra le obbligazioni sostanziali, ovvero non torturare, e le obbligazioni procedurali, ovvero che lo Stato debba mettere in atto delle misure per prevenire la commissione di atti di tortura e intervenire una volta che siano stati commessi. Oltre ad assistere le vittime occorre partire subito con un'inchiesta ufficiale ed effettiva, che porti nel più breve tempo possibile a individuare tutti i responsabili, per poi processarli e condannarli. Le autorità pubbliche, durante l’inchiesta non devono mai mostrare tolleranza per questo tipo di reato. Questa seconda parte è molto interessante, perché mette in evidenza tutte le carenze della legislazione italiana sul tema. Senza generalizzare, è la Corte stessa a sottolineare come le forze dell’ordine non abbiano collaborato per niente con l’inchiesta, quando possibile l’hanno ostacolata, hanno portato prove false, hanno indotto alla falsa testimonianza, ecc. Oppure, più semplicemente, il fatto che i poliziotti avessero i caschi protettivi quando entrarono nella scuola Diaz, cosa che ha ostacolato l’identificazione degli agenti: ma l’identificazione fa parte delle obbligazioni dello Stato, altrimenti viola la Convenzione [sulla tortura]. La prescrizione ha impedito di condannare anche quei poliziotti che erano stati identificati. I pochi condannati lo sono stati per reati meno gravi rispetto alla tortura, con pene che secondo la Corte non sono proporzionate agli atti commessi. Tutte queste cose insieme fanno sì che lo Stato abbia violato la Convenzione non solo per aver commesso l’atto di tortura, ma anche per non aver posto in essere le condizioni necessarie per “prevenire e per curare” l’atto».
La Sentenza influenzerà la discussione alla Camera sul reato di tortura?
Potrebbe essere. Certo è che fanno scalpore queste decisioni e sarebbe meglio non arrivarci, ma sicuramente hanno un loro peso. L’Italia ha ratificato dagli anni ’80 una convenzione che obbliga a criminalizzare la tortura. Siamo in ritardo di una trentina di anni, e da allora stiamo violando le obbligazioni internazionali. Non so se basterà questa sentenza per sbloccare la situazione, ma dobbiamo sperare che sia così».
E per quanto riguarda la questione dell’identificazione degli agenti?
«La questione è più che giuridica: è morale, è politica, ed è molto importante. Lo Stato dovrebbe essere l’autorità legittima che difende la legalità; se per primo se ne pone al di fuori rendendo impunibili i suoi agenti, apre un problema che è politico: bisogna vedere se chi è in Parlamento e al Governo ha la forza e la voglia di approvare delle norme che non farebbero contenti gli agenti delle forze dell’ordine, perché si sentirebbero più esposti, ingiustamente indicati come delle persone che agiscono illegalmente. Ciò nonostante il punto è che lo Stato non può coprire la responsabilità dei soggetti. Non sono ottimista, perché l’interesse di un Ministro dell’interno è non scontentare la polizia. Qui in Svizzera i poliziotti si lamentano perché spesso vengono filmati quando fanno degli interventi in pubblico, eppure è una garanzia il fatto che si veda cosa fanno. Non sempre, certo, ci sono operazioni sotto copertura, ma nelle operazioni di ordine pubblico, non c’è nulla da nascondere. Occorre sottolineare che i poliziotti non vengono trattati bene in Italia: svolgono un lavoro difficile, non sono ben pagati e operano spesso in condizioni rischiose; questo genera frustrazione. Bisognerebbe valorizzare chi fa un lavoro difficile e ingrato, ma nel contempo richiedere il rispetto assoluto della legalità».