Se l'Anno Santo diventasse ecumenico?
24 marzo 2015
Oltre i sofismi teologici, i battibecchi dottrinari, le freddezze ecclesiastiche, questo gesto del Papa di Roma ha il merito di riportare tutti i cristiani a interrogarsi sul fondamento: qual è il senso ultimo del Vangelo? E a che serve la Chiesa di Cristo oggi?
Mi è sembrato di vederle, le espressioni deluse dei miei amici protestanti. Quando papa Francesco ha annunciato a sorpresa l'indizione di un nuovo Anno Santo straordinario, che si aprirà l'8 dicembre di quest'anno, avevano dipinta in faccia l'aria di chi dice: «Arieccoli, siamo alle solite, i cattolici non si smentiscono mai». L'antica diffidenza era subito riemersa tra le nebbie di simpatia che molti, anche negli ambienti riformati, avevano cominciato a nutrire nei confronti del vescovo di Roma meno romano e più “irregolare” degli ultimi cinquant'anni.
Ovviamente, l'atteggiamento è comprensibile: giubilei e indulgenze richiamano, alla memoria sofferta di tanti, l'inizio della frattura tra il monaco agostiniano Martin Lutero e quella corte rinascimentale avida e corrotta che era la Curia ai tempi di papa Leone X, al secolo Giovanni de' Medici. Simonia e mercimonio intorno alla salvezza eterna sono state, in effetti, la scintilla del cosiddetto Scisma d'Occidente. E, in generale, il clima di autocelebrazione trionfalistica che spesso ha avvolto gli anni giubilari proclamati dal Vaticano nel corso della storia non ha fatto altro che approfondire il fossato tra cattolici e protestanti.
Ho come l'impressione, però, che questo proclamato da Jorge Mario Bergoglio sarà un Anno Santo totalmente diverso dai precedenti. E che, ai cristiani della Riforma che avranno la voglia di seguirlo anche solo da lontano, potrebbe rivelarsi come un evento di grande forza riformatrice sul piano spirituale ed ecclesiale.
Alcuni indizi per giustificare questa mia affermazione. Il primo: l'annuncio dell'Anno Santo straordinario ha preso completamente alla sprovvista innanzitutto la Curia romana. Il poco tempo a disposizione da qui all'apertura del Giubileo non consentirà che si metta in moto la consueta macchina commerciale che troppo spesso in passato ha offuscato il significato spirituale di iniziative del genere. Papa Francesco, insomma, sembra intenzionato a spogliare di ogni orpello mondano un evento che intende riagganciare esplicitamente alla tradizione biblica: un anno che, al suono dello jobel, segnava la remissione dei debiti, la liberazione degli schiavi, il riposo della terra.
Il secondo indizio: il collegamento con il cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II. Quell'evento, che è stato il punto più alto di autoriforma della Chiesa cattolica dai tempi di Trento, nonché il momento di maggiore afflato ecumenico, nel corso degli anni successivi era stato talmente chiosato, puntualizzato e criticato da sterilizzarne in tanti aspetti il potenziale esplosivo. Ora è come se Bergoglio volesse ripartire da lì, da quelle aperture interrotte, per dare nuovo slancio al percorso di conversione del cattolicesimo mondiale.
Infine: il tema della misericordia. Il giubileo a questo sarà dedicato. E la misericordia, ha detto monsignor Fisichella, è in pratica «il volto di Cristo». Ci rimanda alla vera questione dell'essere cristiani, alla grande domanda sul senso del nostro cammino su questa terra e sulla nostra poca e traballante fede. Come ha scritto Dietrich Bonhoeffer, «fatico a comprendere perché il Signore mi ami così, perché io gli sia così caro. Non posso capire come egli sia riuscito e abbia voluto vincere il mio cuore con il suo amore, posso soltanto dire: “Ho ricevuto misericordia”».
Papa Francesco, insomma, sta utilizzando uno strumento dell'armamentario tradizionalmente cattolico come l'Anno Santo per un'operazione di rinnovamento evangelico e di riforma ecclesiale. Un'operazione rivolta innanzitutto “ad intra”, cioè indirizzata in primo luogo ai cattolici, specialmente quelli che nel corso del tempo sono stati allontanati o si sono autoesiliati dalla Chiesa. Ma anche un'iniziativa dalle conseguenze ecumeniche potenzialmente rivoluzionarie. Perché, oltre i sofismi teologici, i battibecchi dottrinari, le freddezze ecclesiastiche, questo gesto del Papa di Roma ha il merito di riportare tutti i cristiani a interrogarsi sul fondamento: qual è il senso ultimo del Vangelo? E a che serve la Chiesa di Cristo oggi?
Probabilmente bisogna ripartire da qui, da questo “ecumenismo del fondamento”. Altrimenti, il rischio è che il messaggio proclamato dalle Chiese non appaia altro che uno dei tanti inutili brusii in un mondo pieno di strepiti e rumori di fondo.