Se la scelta ricade solo sugli altri, è davvero obiezione di coscienza?
11 febbraio 2015
Il Consiglio di Stato riporta al centro del dibattito l'obiezione di coscienza sull'interruzione di gravidanza
Il Consiglio di Stato ha accolto una parte di un ricorso dei "movimenti per la vita" e di alcuni medici cattolici contro un decreto della giunta regionale del Lazio che obbligava gli operatori sanitari dei consultori a rilasciare certificati per effettuare l’interruzione volontaria di gravidanza. La giunta di Zingaretti aveva introdotto questo decreto a giugno del 2014, per cercare di riportare l'equilibrio tra l'alto numero di obiettori di coscienza (circa il 90 %) e le necessità di chi chiede il servizio. Ilenya Goss, medico e docente di Etica e Storia della Medicina all'Università di Torino, componente della Commissione Bioetica della Tavola Valdese, ha commentato questa notizia con noi.
Cosa pensa di questa notizia?
«Quando si trovano queste notizie è inevitabile accorgersi subito che non sono riportate per intero, e che molto spesso si tratta di semplificazioni abbastanza forti: il nocciolo è che questo decreto di Zingaretti, in una decina di righe dava spazio alla questione dell’obiezione di coscienza del personale nei consultori. Una parte dei ricorsi è stata accolta, un’altra invece no. All’interno di questo decreto si parlavo degli operatori che devono rilasciare la documentazione, quindi non di quelli impegnati direttamente nelle procedure. Il problema di fondo che emerge, sia dal decreto che dalla sua sospensione, è che esiste un problema di gestione del diritto di obiettare e del diritto delle cittadine di ricevere un servizio. Il conflitto è qui: tra il diritto personale dell’operatore e il suo dovere a garantire il diritto della collettività».
La necessità di mediazione tra questi due aspetti è urgente, quindi.
«All’interno del decreto è riportato un dato, quello nazionale, di obiezioni di coscienza: 69,3 %, un dato della relazione ministeriale sullo stato della legge 194. Quindi un numero molto alto, che fa pensare che la decisione di Zingaretti fosse stata presa proprio per evitare che il servizio venisse paralizzato, perché di fatto in questo caso con l’obiezione si bloccava la procedura fin dall’inizio, fin dal rilascio dei certificati e dei documenti necessari per procedere all’interruzione di gravidanza. Con percentuali così alte di astensioni, la preoccupazione è quella di far funzionare i consultori familiari e strutture sanitarie, che invece sono paralizzate al ricorso continuo all’obiezione».
Dov’è il confine tra il diritto di obiettare e il dovere ad assistere un paziente?
«So che non si fa, ma risponderò con una domanda: è un autentica obiezione questa? Se facciamo riferimento a come nasce l’obiezione di coscienza, anche in Italia, pensiamo al servizio militare, e poi applicandolo in Sanità a quelle pratiche mediche e cliniche che hanno a che fare con la possibilità che il medico per ragioni personali possa dire che non desidera agire. Ma se andiamo a vedere che cos’era l’obiezione di coscienza, vediamo una caratteristica molto chiara: l’obiettore va incontro a delle conseguenze, di solito legali, e si sobbarca le conseguenze del suo gesto. Nel momento in cui un buon numero di operatori della sanità esercita questo diritto, chi paga le conseguenze di questo esercizio? A pagare le conseguenze è chi fa la scelta, o sono soltanto i cittadini e le cittadine? Perché se il mio libero esercizio ricade su altri mi chiedo se sia una vera obiezione. C’è sempre una questione aperta: la professione medica ha al suo interno un'etica, descritta dal codice deontologico, ma si tratta di un etica che interagisce con un ordinamento giuridico di uno stato, che dichiara di essere laico. Ma se l’etica della medicina interagisce con l’etica dello Stato, chi sceglie questa professione deve fare i conti con quello che è il servizio che si va a svolgere: se faccio il medico so che la priorità è il servizio ai cittadini. Devo farmi una domanda se ho un numero così alto di obiezioni perché obiettare è diverso da disobbedienza civile. Qui si tratta di esercitare un diritto soggettivo, ma è come se fosse una denuncia di immoralità, che viene fuori da questi numeri. Mi domando se è compatibile con la scelta di una professione che implica di mettere al primo posto le esigenze di chi ti chiede un servizio».
Secondo lei è possibile regolamentare l’obiezione, parlando di interruzione di gravidanza?
«Il codice deontologico riveduto, che risale al 2014, è frutto di un lavoro della Federazione dell’Ordine dei medici ha voluto consultarsi anche con associazioni e con la società civile. In prima istanza la professione medica elabora la propria etica interna. Dal punto di vista delle leggi dello Stato, certamente questa possibilità è regolamentata. Si prevede l’obiezione di coscienza senza che questo comporti una mancanza di servizi essenziali alla persona. Quando il numero di obiettori è talmente alto da rendere difficoltoso e drammatico accedere al servizio, il servizio non viene garantito. Stiamo parlando di una legge che per motivo biologico richiede una tempistica. Certamente è possibile regolamentare, ma si entra in quell’area estremamente complessa di discussione, dove abbiamo il conflitto iniziale: un diritto soggettivo e il dovere nei confronti della collettività che io mi assumo quando decido di intraprendere la professione medica».