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La guerra dichiarata

La riforma del Senato e quella elettorale prevedono anche altre modifiche, come ad esempio il ruolo di chi dichiara lo stato di guerra. Una scelta su cui riflettere 

L’articolo 78 della Costituzione recita «Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari». Con la modifica del ruolo del Senato, a deliberare sarà solo la Camera dei deputati, che con la legge elettorale sarà in mano a un solo partito, non necessariamente quello che rappresenta la maggioranza degli elettori. Questo è il timore di diverse associazioni che riflettono sulle tematiche della pace e della guerra e che chiedono alle istituzioni una maggiore riflessione sull’argomento. «Una variazione così importante non deve essere vista come un automatismo burocratico – dice Francesco Vignarca, della Rete Disarmo – ma un'occasione di pensare insieme dei meccanismi nuovi, dopo 70 anni, in un'ottica simile a quella dei padri costituenti». 

C’è spazio per questa notizia in questo momento?

«Con tutto quello che viene raccontato in giro per il mondo e sulla scena politica italiana, non è certamente il tema più trattato né quello che sta avendo maggiore interesse e attenzione. Anche per questo motivo abbiamo voluto diffondere una nota per sottolineare un pezzo di lavoro che invece è stato fatto in Parlamento, di analisi e attenzione riguardo a questo cambiamento. Abbiamo una modifica che è figlia di altre scelte, di una riforma istituzionale che sposta il Senato da camera legislativa a sola camera di rappresentanza territoriale e lo fa diventare elettivo di secondo livello, e contemporaneamente la riforma elettorale, che ha avuto un passaggio fondamentale ieri al Senato, spingendo molto di più verso un premio di maggioranza che faciliterà in futuro il fatto che una compagine politica, anche minoritaria, possa prendersi la maggioranza della Camera dei deputati. Fino ad oggi l’articolo 78 parla di Camere: ci sembra che non si sia prestata la dovuta attenzione a questo fatto e che il cambiamento sia stato recepito in automatico, come una conseguenza banale e formale. Ma crediamo che sarebbe stato opportuno sfruttare il cambio istituzionale per ragionare insieme, anche su questi aspetti. La costituzione è stata concepita come una grande pagina su cui poi scrivere la vita quotidiana del nostro paese e ridurre le istituzioni ad un semplice meccanismo che serve per fare più leggi ci sembra veramente riduttivo. I padri e le madri costituenti hanno prestato moltissima attenzione al tema della guerra».

Cosa cambia, quindi?

«L’articolo 78 disciplina la dichiarazione dello stato di guerra: nel dichiararlo, si salta quella che è la normalità democratica, si entra in un momento eccezionale e cambia l’ordine costituzionale e sociale, viene ripristinato il codice militare: è proprio un cambio radicale della vita e dell’ordine dello Stato. Una variazione così importante non deve essere vista come un automatismo burocratico ma un'occasione per pensare insieme dei meccanismi nuovi, dopo 70 anni, in un'ottica simile a quella dei padri costituenti». 

Qual è invece il livello di discussione istituzionale e soprattutto qual è la vostra proposta?

«Al momento attuale l’unica proposta operativa è quella di rifarsi all’emendamento che alla Camera un gruppo interparlamentare per la pace ha proposto, ripristinando quanto meno una maggioranza qualificata per questa decisione. Vorremmo che per la dichiarazione dello stato di guerra ci fosse una maggioranza come quella che, per esempio, c’è all’inizio per eleggere il presidente della Repubblica. Tutto il discorso più ampio, culturale e istituzionale, è un po’ povero in questo momento. Pensiamo che sia utile riproporre queste discussioni, lo facciamo anche con la campagna sulla difesa civile non violenta, che chiede l’istituzione di un dipartimento della difesa civile, come il nostro ordinamento prevede. Forse anche per il mondo del pacifismo c’è bisogno, oggi, di riflettere in modo nuovo sul tema della pace e della guerra».

Alcuni dicono che in questi anni ci siamo trovati in guerra senza sceglierlo: dunque, perché preoccuparsi di questa formalità?

«Non è solo un meccanismo solo dell’Italia: negli ultimi vent'anni, tutte le teorie e le pratiche della guerra stanno cercando di renderla meno visibile, meno “umana” possibile. Pensiamo all’utilizzo dei droni, delle compagnie militari private e così via. Disumanizzare la guerra, renderla meno sporca, meno brutta, meno cattiva, più asettica: come un videogioco, schiaccio un tastino e mi preoccupo di meno; non guardare in faccia la guerra per poterla giustificare di più. Ed è stato questo il tentativo con il ricorso delle missioni all’estero, per cui non si poteva parlare di guerra e le regole di ingaggio erano sempre molto labili e oscure. Anche alcuni ex capi maggiori della difesa lo dicono: trovarsi in una zona non confortevole senza avere un chiaro obiettivo o un percorso politico alle spalle, senza exit strategy è molto difficile. Il punto è importante per agire con responsabilità: riappropriarsi di questo discorso complesso è un dovere, ancora per restare alla nostra Costituzione».

Foto "Museo del Bicentenario - Cascos usados en la Guerra de Malvinas" by Museo del Bicentenario - Museum of the Argentine Bicentennial   Native name Museo del Bicentenario Location Buenos Aires, Argentina Coordinates 34° 36′ 29.8″ S, 58° 22′ 10.3″ W    Established 24 May 2011 Website museobicentenario.gob.ar This file, part of the Collection of the Bicentennial Museum, was provided to Wikimedia Commons thanks to an agreement between the Bicentennial Museum and Wikimedia Argentina. . Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons.