Sfogliando i giornali del 26 gennaio
26 gennaio 2015
La città di Kobane quasi libera, gli scontri in Piazza Tahrir, il rapimento del ministro della gioventù e dello sport della Repubblica Centrafricana, l'appello per una maggiore libertà in Myanmar, le accuse in Messico a proposito del rapimento degli studenti nel Guerrero
01 – Kobane, la resistenza curda è vicina alla liberazione della città
Secondo numerose fonti locali, confermate anche dal Daily Mail, i combattenti dell’autonomia curda in Siria, chiamata Rojava, avrebbero liberato gran parte dell'abitato della città di Kobane, al confine con la Turchia e da mesi al centro degli scontri con l’organizzazione dello Stato islamico. Sul piano militare, i bombardamenti occidentali, insieme agli attacchi via terra dei curdi, hanno permesso la riconquista di circa il 90% della città. Rimarrebbero sacche di resistenza dell'Isis in alcune strade e nei villaggi vicini. La notizia, che circolava già nella giornata di ieri, ha ottenuto grande risonanza quando, questa mattina, i combattenti curdi hanno issato una bandiera del Rojava in sostituzione di quella del Califfato, esposta alcuni mesi fa.
02 – Pesanti scontri al Cairo e Alessandria a quattro anni da Piazza Tahrir
Sono almeno 23 le vittime negli scontri di ieri con la polizia durante le manifestazioni nel quarto anniversario della rivoluzione in Egitto, che si sono tenute tra le strade del Cairo e di Alessandria e che hanno fatto registrare anche almeno 97 feriti. Nei giorni scorsi il governo egiziano aveva approfittato della morte del re saudita Abdallah per dichiarare una settimana di lutto nazionale e cercando così di “blindare” la ricorrenza del 25 gennaio 2011. La tensione, già alta da mesi, è ulteriormente salita sabato, quando durante un corteo è stata uccisa la militante socialista Shaima el Sabag, e nella giornata di ieri ha portato al bilancio più grave dallo scorso giugno, quando l’ex generale Abdel Fattah al Sisi fu eletto presidente in sostituzione di Mohamed Morsi, sostenuto dai Fratelli Musulmani.
03 – Rapito il ministro della gioventù e dello sport della Repubblica Centrafricana
Nuovo rapimento ieri a Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana. Il ministro della gioventù e dello sport, Armel Ningatoloum Sayo, è stato avvicinato da un gruppo di uomini armati, che lo hanno aggredito e portato via all’uscita da una chiesa nella capitale. Il rapimento non è ancora stato rivendicato, e rappresenta il primo caso di rapimento di un membro del governo. Prima di diventare ministro, Sayo era a capo del gruppo ribelle Mouvement Révolution-Justice, basato nel nord ovest del paese, ed era entrato nel governo dopo la firma degli accordi per la fine delle ostilità, avvenuta il 23 luglio. Venerdì scorso era invece stata liberata l’operatrice umanitaria francese Thérèse Priest, rapita lunedì 19 gennaio dai miliziani anti-balaka mentre era in compagnia di un sacerdote cattolico centrafricano, liberato insieme a lei.
04 – Myanmar, un appello per una maggiore libertà nell’anno delle elezioni
«Le autorità birmane stanno aumentando gli arresti di molti che protestano pacificamente per problemi della terra o dell’istruzione. Molti sono stati imprigionati con condanne ridicole, facendo nascere forti dubbi sulla volontà del governo di proseguire nel cammino delle riforme». Con queste parole Brad Adams, direttore per l’Asia di Human Rights Watch, ha commentato l’ultimo rapporto sullo stato di rispetto del pluralismo politico e religioso nel paese. Il numero crescente di arresti preoccupa gli osservatori internazionali soprattutto perché si avvicinano le elezioni, previste per la fine dell’anno. La campagna elettorale si preannuncia tesa, soprattutto per quanto riguarda lo stato delle minoranze, e soprattutto quella musulmana dei Rohingya, al centro dell’attenzione internazionale da anni a causa delle violenze della maggioranza buddhista.
05 – Messico, nuove accuse contro l’esercito a proposito del rapimento degli studenti nel Guerrero
Si fa sempre più consistente il possibile coinvolgimento dell’esercito nelle violenze subite dai 43 studenti di Iguala, nello stato meridionale di Guerrero, di cui non si hanno più notizie dal 26 settembre scorso. Stando alla ricostruzione ufficiale dell’accaduto, che si è arricchita nelle ultime ore dalle testimonianze di alcuni studenti sfuggiti all’attacco, fu la polizia municipale, insieme a un gruppo armato ancora non identificato, ad attaccare a colpi di arma da fuoco gli studenti che protestavano. Si ritiene che i 43 furono poi arrestati e consegnati al cartello della droga Guerreros Unidos, che li avrebbe assassinati. Tuttavia, secondo le ultime testimonianze, i soldati intervenuti sul luogo degli scontri non aiutarono i feriti, ma li insultarono e fecero irruzione con violenza anche in una clinica in cui alcuni erano stati ricoverati per arrestarli.