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«Non ci dobbiamo dissociare da niente»

Abderrhamane Amajou, consigliere comunale a Bra, già collaboratore del ministro Kyenge nel 2013, sottolinea la radicale distanza tra l’Islam e il terrorismo

«Noi non abbiamo niente da cui dissociarci perché non ci siamo mai associati ad atti di quel tipo». Il concetto, espresso dal consigliere comunale di Bra Abderrhamane Amajou, è simile a quello espresso dalla comunità musulmana in Italia, che ha deciso di rispondere ai fatti di Parigi della scorsa settimana con l’hashtag #notinmyname, ripreso anche nella mattina di sabato dai rappresentanti della comunità islamica di Pinerolo con una manifestazione nel centro cittadino. «Le violenze – hanno dichiarato a Pinerolo – danneggiano tutti, ma doppiamente i musulmani, in quanto persone che sono spaventate dalla violenza e spaventate dalle possibili reazioni di chi chiede azioni punitive».

Secondo il consigliere braidese Abderrhamane Amajou, già collaboratore di Cécile Kyenge quand’era ministro dell'integrazione, «quello che è successo in Francia è opera di terroristi che niente hanno a che vedere con i principi dell'Islam e del Corano. Bestie che infangano la nostra religione e quello in cui crediamo».

Nelle parole di Amajou, esattamente come in quelle di musulmani pinerolesi, viene ribadito quanto i musulmani siano in realtà vittime, e non carnefici, della strage di Parigi. «La comunità di Cuneo, come quella italiana e europea – racconta il consigliere – si è sentita colpita e ha subito condannato con forza le stragi, anche perché è stato colpito l'Islam, la figura del profeta Maometto, perché hanno utilizzato il nome di Dio per togliere delle vite. Non bisogna essere musulmani per condannare questi fatti che non hanno niente a che veder con l'Islam, ma anzi lo insultano e lo mettono in cattiva luce».

Il dibattito sull’esistenza o meno di una relazione tra la fede islamica e il terrorismo sta crescendo e si sta polarizzando non soltanto a causa della strage di Parigi, ma anche per le cronache arrivate dal nordest della Nigeria durante la scorsa settimana, fatti che hanno portato alcuni giornalisti ed intellettuali europei a parlare di “inizio della terza Guerra mondiale”, rafforzando in qualche modo l’idea di “scontro di civiltà” portata avanti sin dal 2001, all’indomani degli attentati al World Trade Center di New York e delle missioni statunitensi in Medio Oriente.

Tuttavia, secondo Abderrhamane Amajou questa visione e le relative implicazioni vanno respinte, perché in contrasto con gli stessi precetti del Corano, dove «non si trova alcun accenno all’omicidio e al martirio» e secondo cui «il Jihad è il comportamento del perfetto musulmano che non prevede alcuna violenza, e questo è il travisamento più grande che si può fare con la religione islamica».

«Oggi sul mio profilo Facebook – conclude Amajou – ho pubblicato una frase di Maometto che dice: “l'inchiostro dello studioso è più santo del sangue del martire”. Questo significa che può andarti bene o meno una vignetta, ma non puoi affrontarla con la violenza, non puoi rispondere con la violenza. Ne puoi parlare, discutere, criticare e disapprovare, ma anche per noi musulmani la libertà d'espressione è un diritto inalienabile dell’uomo».

Ascolta l'intervista completa su Radio Beckwith

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