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Lettera a un amico islamico

La satira può unire. Occorre una parola netta sulla nostra fede, prima che siano gli altri a parlare al posto nostro

Care amiche e cari amici islamici,

in seguito ai sanguinosi fatti di Parigi, vi scrivo come un amico, cristiano, protestante, che ha un ruolo di servizio, guida e rappresentanza nella sua chiesa. Sono — o cerco di essere — curioso e rispettoso di ogni espressione dell’umanità, senza distinzioni di religione, di cultura, di classe, di età, di genere e di orientamento sessuale.

Essere cristiano per me non significa combattere le altre religioni, ma testimoniare la fede che mi è stata trasmessa, senza imposizioni, con coraggio e onestà intellettuale. Credo, inoltre, che questo non sia solo frutto della cultura laica e umanista in cui sono cresciuto, ma che derivi anche dalla mia fede. Ho scritto “essere cristiano per me”, perché per altri cristiani non è così. Altri cristiani — anche protestanti — ritengono di dover combattere il diverso, sia esso un africano, un omosessuale, un islamico o una donna. Questi cristiani temono che la continuazione o fine del cristianesimo dipenda da quanto riusciranno a schiacciare i diversi. Io no, e con me tanti altri.

Tuttavia, ciò che rende cristiano un uomo o una donna non sono le scelte etiche o politiche, ma l’adesione alla fede in Cristo. Tra noi protestanti non c’è un papa né un magistero che decide chi sta dentro e chi sta fuori: se accetti la fede cristiana, sei cristiano. Punto.

Con questa lunga premessa, vi chiedo una cosa che probabilmente non vi farà piacere sentirvi dire, ma ricordate che chi scrive è un amico, uno che sogna di vivere in un paese che appartenga a tutti, dove i nostri figli possano vivere in pace, studiare, crescere e costruire cose che a noi non è dato nemmeno di immaginare.

Vi chiedo di cercare di spiegare le azioni più violente e inaccettabili di chi si dichiara islamico, perché se non lo fate voi lo faranno altri.

Alcuni altri, non islamici — magari in buonafede —, cercheranno da sé le risposte e arriveranno alle conclusioni che troveranno; altri ancora, non islamici — magari in malafede —, si permetteranno di “insegnarvi” cosa dice il vostro Corano.

So cosa significa la gelosia della propria identità, conosco il fastidio che si prova quando qualcuno mi sbatte in faccia versetti estrapolati dalla Bibbia, della mia Bibbia. Ci sono “fini” intellettuali che si dilettano a spezzettare le nostre confessioni di fede per dimostrarci quanto loro sono intelligenti, più intelligenti di noi, portandoci a prova dei loro ragionamenti le nefandezze compiute da altri cristiani.

 A chi utilizza pseudo-conoscenze bibliche o coraniche non si reagisce però col silenzio né limitandosi a dire «Ma questi non sono veri cristiani», «Ma questi non sono veri musulmani»: si reagisce fornendo risposte. Per dare risposte, bisogna porsi le domande giuste e anche quelle sbagliate, bisogna interrogarsi e mettersi in discussione. Fatto salvo il principio della responsabilità personale, bisogna anche farsi carico di chi si dichiara tuo fratello oppure ti vuole eliminare perché ti disconosce come fratello.

Nella Genesi c’è la storia di due fratelli, in cui uno ammazza l’altro. Dio chiede all’assassino conto delle sue azioni con una domanda: «Dov’è tuo fratello?» e la risposta — idiota — di Caino è: «Sono forse il custode di mio fratello?» Quella risposta è forse più grave dell’omicidio stesso, perché il disconoscimento del fratello è il primo passo verso la sua eliminazione e la propria condanna. 

Oggi il quotidiano Libero ha titolato «Questo è l’Islam» con l’immagine di uno dei tre assassini di Parigi che fredda il poliziotto Ahmed Merabet. Conosciamo questo quotidiano e sappiamo cosa vuole dire con questa prima pagina. Paradossalmente, però, chi ieri imbracciava un AK-47 condividerebbe questo titolo, come chi ha condotto l’attacco alle Torri, come chi ha fatto saltare in aria i treni di Madrid e la metropolitana di Londra, come chi taglia le teste in Siria e in Iraq.

Place de la République, 18h50, une foule silencieuse.jpg

Non si può ignorare, cari amici e care amiche, non potete ignorare che quell’immagine a molti suggerisce che “questo sia l’Islam” o che “l’Islam sia anche questo”. E non potete permettere che altri leggano questa immagine senza che voi interveniate nel merito.

La domanda che da amico vi pongo è: perché le due persone ritratte nella foto sono entrambe islamiche? Perché uno dei due lavorava onestamente per la collettività ed era accorso per proteggere le persone attaccate, mentre l’altro invece lo uccide senza pietà? È meglio che rispondiate voi, perché altri si sono già dati risposte di ogni genere, spesso — alcune più, altre meno — contro quella fede che è così importante per la vostra esistenza. E dunque, in ultima analisi, contro di voi.

Concludo con una piccola riflessione sulle nostre religioni e la satira. L’estate scorsa con mia moglie sono andato a vedere lo spettacolo dei Monty Python a Londra. Davanti a noi era seduta una giovane coppia islamica: lui con la barba, lei con un discreto velo. Si divertivano come noi, ridevano come noi. Non eravamo lì per caso: è stato un sacrificio economico andare a quello spettacolo e lo è stato probabilmente per entrambe le coppie. Eravamo uniti, grazie a quei cinque vecchi comici sul palco. Quello che le nostre fedi non erano riuscite a fare, è riuscito a farlo la satira più dura, radicale e onesta che conosca. Per questo sono grato alla satira e a Dio che ci ha donato delle persone in grado di farci riflettere rovesciando la realtà.

Che Dio ci benedica.

Foto  1 "Cologne rally in support of the victims of the 2015 Charlie Hebdo shooting 2015-01-07-(2322)" di Elya - Opera propria. Con licenza CC BY-SA 4.0 tramite Wikimedia Commons. 2 "Place de la République, 18h50, une foule silencieuse" by JeSuisGodefroyTroude - Own work. Licensed under CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons.