Noi sapevamo
17 dicembre 2014
Il dossier che accusa la Cia di tortura è l'occasione per una confessione di peccato
Noi tutti sapevamo.
Sapevamo di Guantanamo, del water-boarding, delle extraordinary rendition, dei rapimenti, della violazione dei diritti umani elevata a sistema globale.
Sapevamo che alcuni paesi, che molti non esiterebbero a definire incivili, sottosviluppati, dittatoriali e selvaggi — con diversi gradi, sfumature e distinguo—, venivano usati come toilette dove ritirarsi a fare cose che non faremmo mai in camera da pranzo o sulla pubblica via.
Sapevamo che uomini e donne venivano rapiti nei nostri paesi civili, sviluppati, democratici ed educati — sempre con diversi gradi, sfumature e distinguo—, per essere portati altrove, dove nessuno avrebbe sentito le loro grida, dove nessun avvocato o giudice avrebbe potuto tirarli fuori.
Sapevamo che essi venivano rapiti non dagli sgherri di un camorrista di periferia, ma da agenti dello stato, impiegati nostri, pagati con le nostre tasse.
Sapevamo che la scelta di chi rapire, deportare e torturare si fondava sulla discriminazione etnica e religiosa.
Sapevamo che la tortura era una "truffa": il torturato dice al torturatore ciò che quest'ultimo vuole sentirsi dire, proprio come in una truffa.
Sapevamo che la storia avrebbe condannato questi accadimenti. Chi conosce la storia, sapeva che, a differenza di altri popoli tra cui il nostro, gli americani avrebbero rivelato prima o poi i dettagli.
Sapevamo che queste azioni non avrebbero comportato alcunché di buono, ma che anzi avrebbe distrutto la nostra reputazione.
Sapevamo che i nostri politici — tutti — sapevano. I nostri politici sapevano che noi — tutti — sapevamo.
Sapevamo che tutto questo non serviva a niente.
Sapevamo che tutto ciò era sbagliato.
Sapevamo che ci saremmo indignati.
Sapevamo tutto. Tutti, sapevamo. Anche chi non voleva sapere, sapeva cosa non avrebbe voluto sapere.
Ma non abbiamo fatto nulla per evitare.
E ora? Ora l'indignazione ipocrita lasci spazio alla responsabilità.
E chiediamo pietà. Pietà a Dio, alle vittime, alla nostra intelligenza, al concetto di umanità, a chi ci pare.
Ma soprattutto, convertiamoci, cambiamo vita. Difendiamo il diritto e la giustizia: da affermazione socialmente accettabile, il "Mai più" si trasformi a stile di vita.
Non basta infatti sapere cosa non si deve fare. Bisogna non farlo.