La chiamata a testimoniare l’Evangelo
17 dicembre 2014
Un giorno una parola – commento a II Timoteo 1, 8
Non ho celato la tua benevolenza né la tua verità alla grande assemblea.
(Salmo 40,10)
Non aver dunque vergogna della testimonianza del nostro Signore, né di me, suo carcerato; ma soffri anche tu per il vangelo, sorretto dalla potenza di Dio.
(II Timoteo 1, 8)
I brani biblici che vengono proposti per la nostra riflessione ci prospettano due differenti scenari. In uno si tratta di rendere testimonianza di fronte a una grande assemblea. Probabilmente non è un'assemblea ostile. Potrebbe, forse, intimorire il testimone, ma questi assolve con coraggio e senza reticenze il suo compito di testimone della benevolenza e della verità di Dio.
Il secondo scenario appare ostile, tanto da richiamare la possibilità di soffrire per il vangelo. Parla di sofferenza, probabilmente Paolo, lo scrittore che si trova in carcere per avere annunciato il vangelo, per averlo testimoniato senza cedere alla vergogna che i suoi oppositori volevano incutergli.
Due scenari che nel corso della storia, e ancora oggi, si ripresentano ai singoli credenti e alle chiese. Abbiamo evidenze di credenti che hanno annunciato le grandi opere di Dio nei parlamenti, nazionali e internazionali, nelle grandi assemblee delle chiese, nei grandi raduni. Abbiamo anche evidenze di testimonianze alla fede cristiana rese in ambienti segnati da persecuzione religiosa, con rischi concreti per la propria libertà e finanche per la propria vita.
Ci piace immaginare un terzo scenario che non ha del grandioso o del tragico, ma è fatto di costanza e di forza nel superare il senso di vergogna che altri vogliono incutere. È là, nella casa, sul lavoro, nella scuola, dove ogni persona credente è chiamata a testimoniare dell'evangelo, delle grandi opere di Dio. Lo potrà fare attingendo al proprio vissuto e alla propria comprensione dell'amore di Dio.