Le parole che uccidono
04 dicembre 2014
L'uso di espressioni dispregiative può ostacolare il dialogo tra le comunità di fede. E' ora di adottare un lessico veramente fraterno ed ecumenico
La fotografia ritrae una donna rom la cui testa è attraversata da una parola che, come un proiettile, spara: «Ladra». È una delle immagini della campagna contro il razzismo promossa di recente da Famiglia Cristiana, Avvenire e la Federazione dei settimanali cattolici italiani (Fisc), intitolata #migliorisipuò – Anche le parole uccidono. Con lo stesso stile visivo, le immagini si ripetono per un ragazzino sovrappeso («Ciccione»), per un fedele musulmano («Terrorista»), per un giovane di origine africana («Negro»).
Viviamo in una società in cui la crisi economica ha esasperato le tensioni sociali, scatenando spesso guerre tra poveri e buttando benzina sul fuoco dei particolarismi egoistici e del razzismo (neanche troppo latente) nelle nostre comunità. Dunque, la campagna di Famiglia Cristiana e degli altri mi è sembrata particolarmente benemerita. Perché è vero: anche le parole possono uccidere.
Ma le parole – diciamocelo con franchezza – feriscono anche in ambito religioso! Personalmente, da cattolico considerato poco disposto all'apologetica, per anni sono stato etichettato come «cripto-protestante» se non proprio additato come «lapso». Comunque, al di là delle vicende che riguardano la microstoria familiare, quanto grave può essere il peso delle parole nell'incepparsi del dialogo ecumenico e di quello interreligioso? Ho pensato spesso, ad esempio, a come debbano essersi sentiti i fedeli protestanti – quando nel 2000 venne pubblicata la dichiarazione vaticana Dominus Jesus – a sentirsi declassati a membri di semplici «comunità ecclesiali» e non invece di «Chiese» a pieno titolo. O cosa debba provare un ragazzo ebreo quando sente i suoi compagni di classe usare il termine «rabbino» come sinonimo di «avaro, strozzino». E poi: alzi la mano chi di voi, nelle Chiese riformate, non ha pensato – almeno una volta in vita sua – ai cattolici come a degli insopportabili «papisti».
Insomma: nessuno di noi è immune dal virus del razzismo religioso. Urge quindi, se crediamo veramente che la via del dialogo e dell'incontro sia quella che ci indica il Vangelo, una purificazione anche delle parole, del lessico, dei pensieri. Vogliamo provarci?