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Un commento dell'Asgi al processo di Khartoum, che prevede la gestione dei flussi migratori rafforzando le strutture nei paesi di transito o di origine

A fine novembre i 28 paesi dell’Unione europea più Egitto, Eritrea, Etiopia, Gibuti, Kenya, Libia, Somalia, Sudan, Sud Sudan e Tunisia hanno sottoscritto il “Processo di Khartoum”, un accordo che prevede di realizzare dei campi profughi nei paesi d’origine o di transito dei migranti, in modo da esaminare le richieste d’asilo sul posto. Nel frattempo alcuni parlamentari europei hanno denunciato che una circolare del ministro Alfano, che permette di identificare i migranti anche con la forza, non è conforme al diritto europeo, e pertanto hanno chiesto una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia. Abbiamo affiancato le notizie e provato a leggerle sotto il profilo giuridico insieme a Gianfranco Schiavone, avvocato e consigliere dell'Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione.

Cosa ne pensa del “Processo di Khartoum"?

«Questo accordo ci lascia perplessi perché si tratta di una notizia che rischia di portarci al passato: l’Italia si è infatti distinta negativamente per aver fatto accordi, tra l‘altro non ratificati dal Parlamento, o operazioni di polizia in altri paesi, con l’obiettivo di contrastare l’arrivo dei migranti nel nostro paese. Sul piano giuridico, ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione, qualunque trattato internazionale che abbia una natura politica e che incida sui diritti delle persone (e quello di Khartoum ce l’ha sicuramente) deve essere trasmesso alle Camere e approvato. La prima cosa da fare, dunque, è richiamare alla trasparenza: di che accordi parliamo e qual è la loro natura? Il punto è questo: se siamo di fronte all’ipotesi di aiuti a paesi terzi affinché gestiscano in maniera migliore i loro sistemi di accoglienza e protezione dei rifugiati, allora non c’è nessun problema, anzi è un'operazione positiva. Nei casi in cui questo invece sottintenda altre forme di collaborazione, in particolare l’esternalizzazione della gestione delle richieste di asilo, allora siamo di fronte a uno scenario diverso. Nel secondo caso si va contro il diritto internazionale e la Convenzione di Ginevra. I due aspetti possono sembrare molto vicini tra di loro, ma non lo sono. Da una parte sostenere i paesi e dall’altra imporre dei filtri. Il terreno è molto scivoloso e questo rende difficile anche la comunicazione pubblica su questi temi, perché chi ascolta velocemente può facilmente capire una cosa per l’altra».

Cosa pensa dell’iniziativa della procedura di infrazione contro l’Italia per la circolare di Alfano?

«L’iniziativa dei parlamentari europei è molto opportuna, perché recentemente in Italia si sono diffuse voci estremamente allarmanti da più fonti, anche autorevoli, sulla possibilità che questo uso della forza sia stato usato in molte circostanze: non mi risultano denunce o indagini giudiziarie in corso, ma teniamo conto che i richiedenti asilo sono soggetti estremamente deboli, che possono essere facilmente indotti a lasciar correre o a non considerare un’eventuale violazione dei diritti come questa. Nel caso fosse accaduto si tratta sicuramente di ipotesi di reato, perché una cosa è l’obbligo dello straniero a rilasciare la propria identità, ma dall'altra è sicuramente vietato dalla legge l’uso della forza da parte delle forze di sicurezza. Ci sono casi molto circoscritti in cui si può fare, ad esempio se la persona è sottoposta a indagini preliminari su iniziativa del Pubblico Ministero: al di fuori di questi casi, a nostro avviso, l’uso della forza può rientrare nei casi di violenza privata e lesioni personali. Quella circolare è sciagurata: per l’ennesima volta una delle pessime performance del ministro Alfano che porta dietro di sé una schiera di eventi negativi su queste tematiche. Ciò detto l’Italia ha anche fatto scelte positive, come l’operazione Mare Nostrum, che oltre ad aver salvato molte vite, ha permesso di aprire una discussione sul sistema d’asilo europeo. Una discussione che non è stata gradita da molti paesi, che hanno fatto pressioni perché ci fossero altre operazioni, più “cosmetiche” come l'operazione Triton».

Leggiamo queste notizie insieme: ci danno un quadro della gestione dei flussi migratori?

«Sì, l’Europa ha un sistema di asilo inadeguato nei confronti dello scenario internazionale; ad esempio, rimane nel diritto europeo la competenza di esaminare la domanda da parte del paese nel quale la persona arriva: norma che fu assunta nel 1990 con la Convenzione di Dublino, ma che ora vede intorno a sé uno scenario completamente diverso. Questa vicenda delle impronte, della competenza a esaminare la domanda, della ripartizione del carico, dell’operazione europea di reinserimento, sono tutti temi collegati che avrebbero bisogno di un nuovo quadro di politiche e poi anche di modifiche sul diritto europeo delle quali non si vede traccia, per ora. L’Europa sembra bloccata, incapace di elaborare una nuova strategia di tutela dei diritti fondamentali dei rifugiati».

Come si sblocca la situazione, solo con la volontà politica?

«Temo che non siamo in un periodo in cui l’intelligenza politica sa gestire, prevenire e organizzare gli eventi: temo il contrario, che gli eventi, con la loro pesantezza, imporranno un cambiamento».

Foto: "Halfar-refugee-camp-595" di Myriam Thyes - Opera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.