Un compagno di viaggio
26 novembre 2014
Rubrica «Parliamone insieme della trasmissione di Radiouno «Culto evangelico» curata dalla Fcei, andata in onda domenica 23 novembre
Questa settimana sono stato sollecitato da più parti a leggere l’estratto, pubblicato da un quotidiano nazionale, dell’ultimo libro di Umberto Veronesi, nel quale il famoso oncologo spiega il suo ateismo con l’impossibilità di coniugare l’esistenza di Dio con la presenza del male – quel male che egli quotidianamente sperimenta nel cancro che consuma gli esseri umani.
Mi sono procurato il testo, l’ho letto e alla fine mi è venuto da dire, proprio dal cuore: «che bella testimonianza!». Perché è vero, Veronesi dice di non credere in Dio, però se quest’uomo è senza Dio non è però senza spiritualità. Una spiritualità laica, in cui l’amore per
la scienza va insieme all’amore per l’essere umano; che impegna la vita di una persona a combattere il male. E poi, ecco finalmente un ateo che non è roso dal rancore verso la religione, che non sente la necessità di smascherare presunte ingenuità e inganni nascosti nella fede di chi crede, ma che presenta una spiritualità positiva, capace di lasciarsi coinvolgere in un progetto e in una missione.
Nella mia formazione di credente mi è stato insegnato, dalla mia famiglia e dalla mia chiesa, che una persona capace di questo slancio è sempre un buon compagno di viaggio, con il quale si può fare ben più che un pezzo di strada. E mi è stato anche insegnato a non stupirmi del fatto che una persona «buona» possa non credere in Dio, perché tante possono essere le ragioni e le esperienze che conducono a questa convinzione. E infatti la ragione addotta da Veronesi è delle più serie, forse la più seria: come conciliare l’esistenza di un Dio buono con il male, e non un male astratto ma quello del tumore che consuma sotto gli occhi di familiari, amici e dottori il corpo di un bambino? Ci sono pagine e pagine di riflessioni teologiche e nessuna ha mai risolto il problema.
Come credente so solo questo: che la vita è contraddittoria e in essa il senso e il non senso sono intrecciati in modo tale che laddove si sperimenta l’insensatezza maggiore – e il male è insensato – si può anche scoprire uno spazio di senso per la propria esistenza,
un piccolo spazio di senso sufficiente a illuminarel’esistenza intera. Così per me è la fede in Gesù Cristo: un piccolo frammento di senso nel mezzo di un mondo che testimonia tutto il contrario – piccolo e tuttavia sufficiente a illuminare tutta la mia esistenza. In questo, con il professor Veronesi, presumo, siamo diversi. Ma la fede non è avere le risposte a tutte le domande. La fede è soprattutto camminare: camminare con Gesù, seguirlo, e camminare anche con gli altri. E oggi, piuttosto di essermi imbattuto in un chirurgo senza Dio, mi sembra di aver scoperto un compagno di viaggio.