Qual è la risposta delle chiese nella crisi che investe il Sud Italia?
24 novembre 2014
Riflessioni a margine dell’ultimo rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno
L’ultimo rapporto Svimez sancisce la crisi (irreversibile) del nostro Mezzogiorno? Sembrerebbe di sì. La caduta demografica nel 2013 ha determinato un numero di morti più alto di quello delle nascite (ormai al minimo storico) e rappresenta quasi una svolta epocale. Un bilancio in rosso per il secondo anno consecutivo, infatti, era successo solo nel 1867 e nel 1918, alla fine di due guerre mondiali. Oltre alla crisi demografica, il Sud soffre di povertà (cresciuta di due volte e mezzo negli ultimi anni), di disoccupazione crescente che, se si considerano anche gli “inattivi”, supera ormai il 30%. Gli stipendi per un decimo delle famiglie (spesso monoreddito) non arrivano a mille euro. Chi può se va: negli ultimi 20 anni sono emigrati verso il Centro Nord 2,3 milioni di persone, soprattutto chi ha maggiori prospettive (vedi laureati). I redditi tra il 2008 ed il 2013 sono crollati del 15% e tutti gli indicatori socioeconomici segnalano il grave ritardo con il resto dell’Italia. Non parlo ovviamente del perdurare delle mafie e della corruzione, ma questi fenomeni, pur gravi nel Sud, sono diventati ormai questioni anche a livello nazionale.
In questo scenario o malgrado questa situazione, il Sud è invece scomparso dall’agenda politica e culturale del nostro paese. Una sorta di rimozione collettiva da parte di tutti, con l’illusione che non parlando di un problema esso si possa automaticamente risolvere. Credo, invece al contrario, che esista ancora una questione meridionale, anche se dobbiamo ragionare in termini nuovi. Nuovi termini e nuovi strumenti da mettere in campo, per una nuova progettualità (e nuova speranza) per il Sud.
Anche le chiese cristiane devono “rileggere” il Mezzogiorno. La chiesa cattolica e le nostre chiese evangeliche hanno riflettuto sul Mezzogiorno. Di certo per la chiesa cattolica il sud ha rappresentato un luogo privilegiato e particolare della sua presenza e della sua forza. Ma anche le nostre piccole chiese hanno sperimentato per il Mezzogiorno una strategia di evangelizzazione e di presenza sociale e culturale. È opportuno rileggere questa storia di presenza religiosa, almeno quella relativa dal dopoguerra ad oggi, per confrontare gli approcci e le linee di impegno. E soprattutto è importante capire se dalla rilettura di questa storia non si possano trarre valutazioni (anche critiche), ma anche attualizzazioni,spunti e idee nuove.
Le nostre comunità/opere del Sud sono destinate all’estinzione? Tra denatalità, nuova emigrazione, disaffezione e mancanza di nuove adesioni, le nostre chiese sono destinate alla scomparsa? Le nostre comunità seguiranno lo stesso destino del Mezzogiorno? Ma è possibile pensare un’Italia divisa in due parti o una chiesa valdese e metodista diffusa solo delle Valli Valdesi e nelle grandi città del Centro Nord? Che cosa è mancato in questi anni che non ha permesso alle nostre comunità di rafforzarsi e di crescere? E se si indeboliscono le comunità si indeboliscono anche le opere ad esse, direttamente o indirettamente, collegate.
Nella ricerca dei nuovi termini della questione meridionale, vale la pena di raccontare le esperienze di un Sud diverso. Non tutto il Mezzogiorno è degrado, povertà, corruzione e mafie. Esistono esempi di un Sud civile, coraggioso, moderno, innovativo e onesto. Perché non cominciare a conoscere questo Sud e a farlo conoscere? Le nostre comunità possono diventare, in questo senso, anche un luogo di sviluppo e di informazione della nuova coscienza meridionale?