Caro prof. Veronesi, anche io non credo più
20 novembre 2014
A chi possiamo credere dopo Auschwitz?
Ha fatto scalpore la confessione di non-fede in Dio da parte del prof. Umberto Veronesi. Le anticipazioni del suo libro Il mestiere di un uomo proposte dalla stampa si concentrano su come un ragazzo cresciuto in ambiente cattolico abbia man mano perso la fede in Dio che gli era stata tramandata.
Sui social network le reazioni sono state le più scatenate e, come spesso capita, esagerate. Non ne parliamo.
E non discutiamo neanche se la guerra, Auschwitz e infine il cancro siano o meno prove della non esistenza di Dio. Sono cresciuto in un ambiente diverso dal prof. Veronesi, che non si preoccupava di dimostrare l’esistenza di Dio, perché troppo occupati a costruire la nostra relazione con Dio.
Immagino invece che il professore sia cresciuto in un ambiente dove l’esistenza di Dio è venduta come un’evidenza, come un qualcosa che si percepisce dalla bellezza della natura. La teologia scolastica, Anselmo e Tommaso hanno tramandato l’idea che la mente umana possa dimostrare l’esistenza di Dio. Ovviamente, questo vale se sei intelligente, mentre per chi è povero e ignorante c’è la “religiosità popolare”.
Meno male che la Riforma ha creduto nell’alfabetizzazione di massa… ma questa è un’altra storia.
Davanti a certe cose, però, devo ammettere che anche io perdo la fede: la guerra, Auschwitz, le violenze negli stadi e nelle periferie, le morti stupide e quelle più crudeli, lo stupro di donne e bambini. Sono tutte cose che mi fanno perdere la fede. La fede nell’essere umano.
Quell’essere umano che più di ogni altra specie animale su questa terra si è innalzata, che ha alzato lo sguardo al cielo, ha raggiunto lo spazio, ha allungato la propria vita contro i dettami della natura matrigna: davanti ad Auschwitz, all’umanità non credo più.
Nella nostra lingua attribuiamo all’aggettivo “umano” un connotato positivo e chi si dimostra violento e brutale viene definito “bestiale”. Eppure, davanti ad Auschwitz, davanti ai libri di storia che presentano i guerrieri come grandi uomini, mi pare che sia sempre meno onesto definire “bestie” tali uomini.
Davanti ai cancelli di Auschwitz, alla scritta beffarda «Il lavoro rende liberi», perdo la fede nell’umanità. Poi però vedo Umberto Veronesi e Rita Levi Montalcini. Poi guardo un film di Christopher Nolan e leggo un libro di Philip Dick. Poi ascolto Pharrell Williams che canta Happy. Poi vedo nel mio piccolo mondo un sorriso, una mano tesa verso il prossimo, due persone che si amano. E allora penso che la mia teoria non era del tutto corretta, che forse mi sbaglio, che l’essere umano non è capace solo di toccare gli abissi di malvagità, ma anche di amare.
Alcune situazioni, avvenimenti, notizie, immagini ci sconvolgono. Ma non è detto che ci diano il quadro completo.
Se dopo Auschwitz è possibile continuare a credere - con modestia e prudenza - nell’umanità, allora forse è possibile continuare a credere in Dio.