Nero, il colore dell'ecumenismo
06 novembre 2014
Quando la diversità non ha a che fare con il nostro ideale
“Nero è bello”. Tra i cristiani d’Occidente, non importa se protestanti o cattolici, è così almeno dalla fine degli anni Sessanta: l’Africa, con il suo fascino esotico e con la sua povertà disarmante che grida giustizia al cielo, ha conquistato i cuori dei credenti, facendone il continente d’ideale elezione per quanti seguono il Cristo messo in croce dalla cattiveria degli uomini. Albert Schweitzer, Desmond Tutu, Nelson Mandela e – con loro – i tanti missionari senza nome che hanno dedicato la vita alla causa del Continente nero sono divenuti icone di un informale pantheon cristiano dei nostri tempi.
Per lungo tempo, la “diversità” africana – culturale, sociale, spirituale – è stata motivo di una attrazione tale da produrre, qui da noi, iniziative di impegno solidale, pellegrinazioni, gemellaggi. Da qualche tempo, però, qualcosa sta cambiando. L’Africa si è fatta più vicina: le nostre comunità cristiane sono affollate di migranti che arrivano da Sud; pastori e preti di colore guidano talvolta le nostre celebrazioni liturgiche. Lo spazio per “idealizzare” senza ben conoscere “l’altro” si è fatto più stretto. E l’impatto con la realtà dell’incontro non è stato indolore.
Il modo sobrio e razionale di vivere la fede, tipico del mondo protestante italiano, ha dovuto fare spazio a un altro tutto diverso, molto più emotivo. La rapidità “funzionariale” di certe messe cattoliche nostrane è stata sostituita dal calore e la lunghezza dell’incedere liturgico africano. E la nostra mentalità laica e “aperta” è stata spesso spiazzata da una visione sociale più “patriarcale”. Non è un caso, per esempio, che all’interno della Comunione anglicana le province africane siano decisamente contrarie all’ordinazione delle donne vescovo o al riconoscimento delle coppie gay. E anche al recente Sinodo cattolico sulla famiglia, i vescovi africani si sono mostrati tra i più allergici alle aperture sulla comunione ai divorziati risposati o all’accoglienza dei cristiani omosessuali.
Insomma, nero è ancora bello, sì, però che fatica! Che fatica apprezzare e vivere quotidianamente la diversità, quando la diversità non se ne sta a casa sua! Eppure questo incontro complicato (e non privo di tensioni) è davvero un prezioso insegnamento ecumenico: perché solo quando l’altro ci sta di fronte in tutta la sua irriducibile e concreta diversità – e non in una sua addomesticata e idealizzabile versione – solo allora potremo dire di aver fatto davvero i conti con l’universalità dell’Ecumene cristiana.