L'Onu valuta l'Italia sui diritti umani
28 ottobre 2014
L’ultimo Esame Periodico Universale dell’Italia si è svolto nel 2010
Qual è la situazione dei diritti umani in Italia? A indagare il tema è il Gruppo di Lavoro dell’Esame Periodico Universale - parte del Consiglio dei Diritti - con una riunione che si è svolta il 27 ottobre a Ginevra. L’Italia è uno dei quattordici stati esaminati dal Gruppo di Lavoro durante la sessione, che continua fino al 7 novembre. L’ultimo Esame Periodico Universale dell’Italia si è svolto nel 2010. Ne abbiamo parlato con Luca Pasquet, Dottorando in diritto internazionale all’IHEID (Institut de hautes études internationales et du developpement) di Ginevra.
Come funziona l’Esame Periodico Universale?
«Ci sono due rapporti redatti dall'Alto Commissariato dell'Onu, uno istituzionale con tutte le raccomandazioni mosse ad un determinato paese, l'altro che raccoglie le comunicazioni che giungono da organizzazioni non governative.
Lo Stato sotto esame presenta una propria relazione, dopo la quale si arriva alla discussione vera e propria alla quale prendono parte tutti i 47 membri del Consiglio dei diritti umani, più gli altri Stati dell'Onu che vogliano partecipare, e varie Ong che si occupano di diritti umani. Dopo questa discussione verrà stilato un ultimo report, nel quale ci saranno nuove raccomandazioni per gli Stati in esame, per fare in modo che i diritti umani vengano rispettati un po' più di prima nei successivi quattro anni, e in vista del prossimo Esame Periodico Universale. Non è l'unico esame che ha come oggetto i diritti umani, ma esistono comitati di esperti delle Nazioni Unite che svolgono esami sul rispetto di determinati diritti umani legati ad alcune convenzioni specifiche. La particolarità dell'EPU è la sua universalità: riguarda tutti gli stati membri dell'Onu».
Cosa differenzia questo organismo da altri dell'Onu?
«Questo organismo è politico: gli altri periodic review sono costituiti da esperti indipendenti; qui le persone che discutono sono dei diplomatici che rappresentano il loro paese. Quando ci si trova a discutere tra diplomatici, tutto ha delle conseguenze politiche: per esempio su questo piano si tende a minimizzare la violazione di un alleato e a metter in croce quella dell'avversario. Dunque, si cerca di avanzare nel modo più imparziale possibile, e di solito funziona. Tutti hanno molto chiaro che il primo significato di questa discussione è politico. Molto spesso i diritti umani vengono utilizzati proprio come strumento politico, magari per colpire un paese e metterlo in cattiva luce di fronte al mondo. Questo è un aspetto negativo ma viene controbilanciato dalla presenza delle Ong (non necessariamente neutrali ma con interessi diversi rispetto agli stati) e con la preparazione alla discussione, fatta con il materiale che viene prodotto dagli esperti, che non ha carattere politico. Detto ciò, resta importantissimo che si discuta di diritti umani anche a livello politico, e non solo tecnico e giuridico».
Nei rapporti preparatori della discussione, si è parlato anche di libertà religiosa in Italia
«Se ne parlava in due aspetti differenti, quello relativo all'insegnamento della religione a scuola, e quello sulla libertà religiosa in senso stretto. La prima questione è stata posta in esame anche al Comitato per i diritti del bambino che aveva raccomandato all'Italia di garantire effettivamente l'ora di alternativa all'insegnamento della religione oltre a raccomandare di pensare ad alcune possibilità per superare Irc, in modo da renderla disponibile a tutti, non solo per una confessione religiosa. In questa direzione andava il suggerimento della Fcei per l'insegnamento di Storia delle Religioni.
Per quel che riguarda la libertà religiosa in senso stretto, si fa riferimento a due aspetti: il primo è che il Consiglio di Stato Italiano riconosce come ministri di culto solo quelli di comunità con più di 500 membri. Molti di loro quindi non sono riconosciuti e non hanno diritto di andare nelle carceri o negli ospedali a parità di condizioni di altri ministri di culto. Bisogna trovare un limite, sì, ma capire se il limite deve essere numerico o cos'altro. L'altro aspetto riguarda la Lombardia, che è al centro della discussione, con la sua normativa regionale che ha penalizzato le minoranze religiose, che non riescono a dimostrare che i loro locali sono di culto e ne vengono privati».
Quanto toccano la politica le raccomandazioni di questo organismo?
«Dipende dal genere di politica di un certo paese. Ovviamente non sono vincolanti, ma quando più di un organismo dell'Onu dice per più volte che un certo tipo di procedura o di norma va cambiata e tu non lo fai, la figura a livello internazionale è pessima. Questo può avere un'influenza politica, ma può anche non averla, sappiamo tutti come in Italia il crimine di tortura non sia ancora penalizzato, o il sovraffollamento delle carceri. Le raccomandazioni degli organi dell'Onu servono anche a dare visibilità ai problemi: spesso la politica cerca di ignorarle, ma se non se ne parlasse sarebbe peggio».