La detenzione disperante
24 ottobre 2014
L’ergastolo, i suicidi in cella e il problema del sovraffollamento nelle carceri continuano ad essere un problema presente in Italia
Ieri papa Francesco, davanti ad alcuni giuristi dell'Associazione Internazionale di Diritto Penale, ha affermato che "l'ergastolo è una pena di morte nascosta". La notizia, che ha fatto il giro dei quotidiani, aiuta a riportare l’attenzione su un tema scottante, sebbene spesso dimenticato per poi essere trattato in salsa emergenziale o allarmistica: le carceri in Italia. I temi da affrontare e risolvere restano i consueti, il sovraffollamento, con 54.195 persone detenute su un totale di 49.347 posti regolamentari, le condizioni di detenzione non sempre dignitose e suicidi in cella. Abbiamo chiesto un commento delle notizie a Francesco Sciotto, coordinatore del gruppo di lavoro sulle carceri della Federazione elle Chiese Evangeliche in Italia.
Cosa pensa delle parole di Bergoglio sull’ergastolo?
«Sono d’accordo con il papa su questa questione. L’ergastolo è una pena di morte prolungata e senza fine. Ma non è solo una mia opinione, la Fcei qualche mese fa si espresse a favore della campagna per l’eliminazione dell’ergastolo. Nella nostra riflessione pastorale abbiamo già affrontato questo tema, e riteniamo che l’ergastolo sia una sconfitta per le istituzioni della repubblica, perché significa abdicare, ammettere che non è stato possibile dare corso al dettato costituzionale che dà allo Stato e al detenuto l’occasione per “cambiare”. Occorre utilizzare meglio il tempo della pena.»
Le condizioni all’interno delle carceri continuano ad essere precarie?
«L’Italia è indietro sulla condizione in cella, i suicidi riguardano in massima parte il primissimo periodo della pena, ma sono la punta di un iceberg di una condizione di detenzione disperante. Ho l’impressione che nell’ultimo periodo si siano fatti dei tentativi di migliorare la condizione anche a lungo termine delle carceri e della pena. Il problema è sempre quanto lo stato ha intenzione di investire perché queste decisioni possano essere applicate. Un obiettivo è che sempre più tempo della pena venga passato fuori dal carcere, questo ha il lato positivo che decongestiona gli istituti di pena e tendenzialmente potrebbe essere meno esposta alla recidiva. Se allunghiamo questo tempo ma non investiamo del denaro (quasi il 100% degli investimenti è effettuato dentro il carcere) senza sostenere ed accompagnare le persone, non forniamo nuove occasioni a chi si appresta a finire la pena. Il problema non è solo come si fanno le leggi, ma dotare chi si occupa di detenuti ed ex detenuti di strumenti opportuni per l’accompagnamento. Si tratta di un’occasione persa. Se vogliamo guardare le statistiche e non i diritti delle persone, comunque si vede come un minore investimento su questi aspetti porti ad un aumento della recidiva.»
Quanto conta la narrazione mediatica del carcere?
«Si parla del carcere sempre in termini di emergenza, ma si tratta invece di una realtà quotidiana della nostra società: parlarne in questo modo non ci dà la lucidità per affrontare il problema in maniera adatta. Il tema della devianza va trattato con la dovuta complessità, ma non un’emergenza: è un problema endemico del nostro sistema penale. Va fatto programmando e progettando, l’attenzione invece cambia a seconda delle mode dei governi in carica, ma senza interventi tali da cambiare veramente le cose.»
Come si inserisce nel discorso la questione dell’amnistia e dell’indulto?
«Qualsiasi iniziativa tesa a migliorare le condizioni di vita nelle carceri va tenuta in considerazione. L'amnistia e l'indulto sono dispositivi previsti dalle nostre leggi, anche se se ne parla come se si trattasse di iniziative peregrine del legislatore. Se hanno la possibilità di migliorare la condizione delle persone nelle carceri vanno tenute in considerazione con grande serietà. Chiunque dovrebbe essere favorevole, ma certamente non sono iniziative che possono essere prese da sole, va fatto qualcos’altro per evitare un ritorno alla delinquenza e offrire dei percorsi di emancipazione. Occorre evitare che tutto si fermi lì.»
I prossimi passi del gruppo di lavoro?
«Il gruppo di lavoro si occupa di fare formazione (prossimo incontro a Napoli, nel 2015) per quanti lavorano dentro le carceri per l’assistenza spirituale. Oltre a offrire spunti di riflessione, teologica e non, sulle tematiche della pena e mappare le iniziative a favore dei detenuti. Per esempio domenica 7 dicembre le chiese valdesi e metodiste rifletteranno sul tema della detenzione e raccoglieranno delle offerte per un progetto La casa del Melograno di Firenze per persone che sono in un percorso di liberazione dal carcere. Stiamo cercando di allargare la riflessione a tutte le chiese della Fcei.»