La casa delle pazze
24 ottobre 2014
Un apologo su quello che bolle nella pentola delle Chiese cristiane
Ogni apologo che si rispetti inizia con «c’era una volta…». E allora: c’era una volta una casa abitata da tre attempate, litigiosissime sorelle. Era chiamata «la villa delle pazze», perché le tre erano talmente rissose e scorbutiche che nessuno, nel villaggio, aveva più desiderio di frequentarle. Le tre donne, sin dalla tenera età, erano rimaste orfane. Quella tragedia le aveva segnate per sempre: ciascuna, a suo modo, aveva amato talmente il padre perduto da aver estremizzato il proprio personale ricordo del genitore, facendone oggetto di un conflitto permanente con le altre due.
La più anziana aveva, indubbiamente, un caratteraccio: severa (e, in passato, anche manesca), pretendeva di imporre alle sorelle minori le rigide regole di vita che riteneva il padre avesse trasmesso loro. Se ne faceva paladina quotidianamente e non passava giorno che non sottolineasse, con una certa prepotenza, le mancanze delle più giovani.
La sorella di mezzo era una donna decisamente singolare: svampita e bisbetica, era una fanatica dell’eleganza dei bei tempi andati e di tutto ciò che aveva, in qualche modo, a che fare con l’estetica dello splendore di quegli anni felici in cui il genitore era ancora con loro. Trascorsi però da lunga pezza i fasti della gioventù, si era rinchiusa in un suo mondo polveroso e fuori moda, ascoltando vecchi dischi da un monumentale grammofono e indossando abiti da sera ormai tarlati.
La più piccola delle sorelle era considerata la scapestrata di casa. Tiranneggiata dalle altre due, aveva presto maturato la risposta pronta e tagliente. Polemica e ribelle, era insofferente alle regole con cui la assillava la primogenita e non nascondeva il disprezzo per i merletti della mezzana. Sempre pronta a buttarsi nelle cause perse che gli capitavano a tiro, era considerata una pericolosa hippie dalla più grande e un’eretica del cattivo gusto dalla secondogenita.
I giorni, nella «villa delle pazze», si succedevano sempre uguali in continue scaramucce tra le nevrotiche sorelle. E così le tre si addentravano a passo di carica nel tempo della senilità. Un mattino, svegliandosi, la più grande si alzò dal letto con un pensiero fisso: «E se stessi sbagliando? Manca poco tempo al giorno in cui non mi sveglierò più e allora, magari, mi accorgerò che le regole ferree che ho sempre difeso erano tutte sballate…». Così, da quel giorno, diventò improvvisamente mansueta, dolce di carattere e sorridente verso il prossimo, a cominciare dalle sorelle. Prese a prendersi cura di alcuni poveri del villaggio e decise persino di adottare un cagnolino randagio del quartiere. Colpita dal cambiamento, la svampita sorella di mezzo decise di rimboccarsi le maniche per far applicare (più blandamente, in verità) alcune delle regole che, fino al giorno prima, erano state l’idolo della grande. E prese a trascurare le sua manie per l’eleganza e il buongusto. La terza infine, spiazzata dal comportamento delle prime due, e trovandosi senza nemiche contro cui combattere, si diede a curare il suo aspetto, rivalutando l’arte e l’estetica fino ad allora frettolosamente disprezzate.
C’era una volta, dunque. Ma in parte c’è ancora… E se la più anziana, con papa Francesco, comincia a spiazzare le due Chiese sorelle, la mezzana ortodossa e la piccola e “ribelle” protestante, forse c’è lo spazio perché ciascuna si liberi dal giogo di dover rivestire rigidamente il proprio ruolo, come fosse una parte in commedia. E cominci a rivalutare il “senso buono” che c’è nella storia e nel carattere delle altre.