L’attesa
29 agosto 2014
Un giorno una parola - Commento a Isaia 8, 17 e Romani 8, 25
Io aspetto il Signore che nasconde la sua faccia alla casa di Giacobbe.
(Isaia 8, 17)
Se speriamo ciò che non vediamo, l’attendiamo con pazienza.
(Romani 8, 25)
Non sappiamo più aspettare. I tempi di attesa li viviamo come tempi morti, da riempire con uno sguardo al telefonino e un orecchio alla musica. Viviamo nell’epoca dell’eterno intrattenimento che, nel distrarci e divertirci, ci impedisce di sentire il vuoto, l’assenza. Bandita la noia, con essa viene meno anche il desiderio, che nasce proprio dal saper elaborare quella mancanza. Perché, a differenza del bisogno, che domanda di essere immediatamente soddisfatto, il desiderio richiede la capacità di attendere, di pazientare.
Un bambino non nasce al momento del parto, e nemmeno col semplice concepimento. Esso viene tessuto dal desiderio dei genitori, dall’attesa fatta di immaginazione, giochi di nomi, aspettative e speranze. Un figlio nasce dal ventre di una donna e dal desiderio che nutre per mesi l’attesa; e persino dalle paure. Perché ciò che si attende, ancora non c’è: non ne possiamo scorgere il volto. L’unica via d’uscita dalla paura sarebbe rinunciare a quella nuova vita. Anche nel rapporto con Dio conosciamo la paura. Non certo quella antica delle fiamme dell’inferno; piuttosto, temiamo il suo silenzio, la sua assenza. Vorremmo sentirlo presente in ogni momento della nostra vita, pronto a colmare quel vuoto che ci angoscia, più spesso ci annoia. Ma, così facendo, cadiamo nella logica della società dello spettacolo, dove tutto è visibile e fruibile. Dio diventa un intrattenimento che possiamo trattenere a nostro piacere. Contro questo idolo, la Bibbia suggerisce la via lunga del desiderio, fatta di attesa, attenzione, pazienza.