«Sulla strada giusta»: il dibattito carcerario tra numeri e reinserimento
27 agosto 2014
Dal caso piemontese a quello italiano come cambia il panorama delle carceri
«Dobbiamo spingere per ottenere numeri significativi di persone inseriti in percorsi di reinserimento e recupero, perché questo ci prescrive la Costituzione, […] la pena è volta alla rieducazione, al recupero, al reinserimento, e lo si fa attraverso percorsi formativi e lavorativi». Queste parole del garante dei detenuti del Piemonte, Bruno Mellano, ci ricordano che quando si parla di carceri è necessario considerare numerosi livelli di analisi, dimenticando pericolose semplificazioni, che tendono a legittimare un sistema carcerario solamente punitivo. Ma le stesse parole partono da un altro punto, quello dei numeri, e nello specifico da quelli delle strutture piemontesi.
I dati aggiornati ad agosto 2014 forniti dal Ministero della Giustizia ci dicono che, forse per la prima volta da quando è stata istituito un registro pubblico ed ufficiale, la presenza di detenuti nelle strutture piemontesi è compresa nei limiti della capienza regolamentare.
Cosa ci dicono i numeri in Piemonte
Struttura | Capienza | Detenuti |
---|---|---|
ALBA - Casa di reclusione (Giuseppe Montalto) | 145 | 133 |
ALESSANDRIA - Casa circondariale ("Cantiello e Gaeta") | 236 | 235 |
ALESSANDRIA - Casa di reclusione (San Michele) | 260 | 235 |
ASTI - Casa circondariale | 207 | 281 |
BIELLA - Casa circondariale | 394 | 245 |
CUNEO - Casa circondariale | 427 | 280 |
FOSSANO - Casa di reclusione | 133 | 55 |
IVREA - Casa circondariale | 192 | 220 |
NOVARA - Casa circondariale | 161 | 167 |
SALUZZO - Casa di reclusione (Rodolfo Morandi) | 268 | 275 |
TORINO - Casa circondariale (Lorusso e Cotugno) | 1125 | 1131 |
VERBANIA - Casa circondariale | 55 | 57 |
VERCELLI - Casa circondariale (Billiemme) | 230 | 229 |
Totale | 3833 | 3543 |
Se si pensa che appena 18 mesi fa, a gennaio 2013, le strutture detentive piemontesi ospitavano oltre 5000 persone a fronte della stessa capienza di oggi, possiamo evidenziare una netta tendenza al miglioramento delle condizioni dei carcerati a livello regionale.
«Negli ultimi due, tre anni – racconta Mellano –, anche grazie all’attenzione della Corte Europea dei diritti dell’uomo, del Presidente della Repubblica, si sono fatti dei provvedimenti, […] a volte anche con qualche contraddizione e difficoltà, ma che sicuramente hanno prodotto almeno per il Piemonte una significativa diminuzione dell’emergenza».
Eppure il percorso verso un sistema carcerario più equo e in grado di raggiungere il proprio obiettivo è lontano dall'essere concluso. Negli ultimi anni si sono sviluppati progetti che vengono considerati dei “fiori all'occhiello” per quanto riguarda la rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti, percorsi che hanno come risultato dei tassi di recidiva più che dimezzati, ma anche qui il problema sono i numeri: finora l'eccellenza è sempre stata concentrata su gruppi di persone molto ristretti, inferiori al 20% nella migliore delle ipotesi, creando all'apparenza minoranze privilegiate, separate da ampie maggioranze abbandonate.
Si tratta di intraprendere una strada fatta di scelte volte – per citare Mellano – a «ridare senso ai circuiti penitenziari, laddove si mettono assieme detenuti con gli stessi reati, con le stesse pene e previsioni di detenzione, dove si possono costruire dei percorsi psicologici, sociali, rieducativi, di reinserimento, ma anche di formazione, per imparare un lavoro, per lavorare magari in una cooperativa sociale all’interno del carcere e poi all’esterno, svolgendo quindi un percorso a tappe che si basa sulla fiducia e sulla responsabilità di ciascuno e che ci impedisce di avere tristi record sulla recidiva. Noi sappiamo che chi è inserito in percorsi di reinserimento torna in carcere con una percentuale estremamente minore di chi si fa anche fino all’ultimo giorno della detenzione chiuso in carcere».
E in Italia?
Se si amplia lo sguardo alla situazione nazionale, i dati sono radicalmente diversi: pur in diminuzione, il sovraffollamento carcerario in Italia sfiora le 10.000 unità. Parliamo di una cifra che, secondo il senatore del Partito Democratico Luigi Manconi, rende inutile ogni riforma, perché «il sistema penitenziario nel suo complesso è affetto da una febbre da cavallo». La condizione di urgenza che fa da struttura portante del modello carcerario va quindi prima riportata ad una situazione in grado di prevedere margini dovuti alle contingenze e a situazioni imprevedibili, ma per poterlo fare potrebbe essere necessario riportare al centro del dibattito due misure ampiamente impopolari: indulto e amnistia.
Questi due strumenti, spesso confusi e osteggiati da gran parte della politica, sono stati al centro di uno studio realizzato dalla Commissione parlamentare per la tutela e la promozione dei diritti umani, di cui il senatore Manconi è presidente. «Dal 2006, anno dell'ultimo indulto, al 2013 – racconta – abbiamo visto che tra coloro che scontano interamente la pena all’interno di un carcere ed escono senza sconto né condono, la recidiva raggiunge il 68–69%. Tra i beneficiari dell’indulto la recidiva raggiunge una percentuale ancora elevata, ma che in realtà è la metà di quella di cui sopra, attestandosi al 34%. Aggiungo – conclude Manconi – che tra coloro che hanno beneficiato dell’indulto mentre si trovavano in detenzione domiciliare la recidiva è scesa ulteriormente, e inoltre cala ancora tra chi ha beneficiato dell’indulto ed è straniero».
Superata la questione numerica, che richiede comunque un intervento su almeno 25.000 persone, è possibile spostare la nostra attenzione sulla qualità, cioè sui percorsi da intraprendere per trasformare la punizione in recupero, e l'espiazione in reinserimento.
Su questo piano si innesta un modello, quello della giustizia riparativa, che prova a ragionare non tanto in termini punitivi, quanto sulla riflessione per cui con un reato si è rotto un legame sociale e la finalità dell’azione giudiziaria debba essere quella di ritessere questo legame. Si tratta di un approccio che prevede di coinvolgere nell’azione di ricostruzione il colpevole, le vittime del reato e tutta la società, che da quel reato ha subito una ferita da rimarginare.
Proprio su questo lavora il pastore valdese Francesco Sciotto, direttore fino al 30 settembre 2014 del centro diaconale “La Noce” di Palermo. Intervistato da Radio Beckwith Evangelica, il pastore racconta alcuni aspetti di questi percorsi.
«A Palermo ospitiamo delle attività di minori e giovani adulti che sono finiti nel circuito della devianza e che compiono dei percorsi di riparazione del danno. Una parte li svolgono compiendo attività all’interno del centro diaconale. Certo non sono le sole cose che fanno e queste attività sono svolte in coordinamento con i servizi sociali del territorio e del ministero della Giustizia».
Negli ultimi mesi la politica nazionale ha prodotto alcuni interventi sulle carceri, e in seguito alla “sentenza Torreggiani“ dell’8 gennaio 2013 sono previsti sconti di pena che cercano di rimediare alle condizioni di detenzione, giudicate lesive dei diritti dell’uomo. Eppure gli sconti in sé e per sé non risolvono nulla. «Se noi facciamo passare i famosi 45 giorni di sconto di pena – racconta il pastore Sciotto – ma non prevediamo che quel tempo sia riempito da qualcosa e non investiamo sui progetti di reinserimento, certamente perdiamo un’occasione: svuotiamo le carceri ma non riempiamo la vita di quelle persone».
Rendere piena l'esperienza carceraria è una vera e propria sfida, che richiede la giusta preparazione, e a questo si dedica il gruppo di lavoro sulle carceri della Fcei, coordinato proprio dal pastore Francesco Sciotto. Questo gruppo di lavoro, nato nel 2007 e poi ripartito all'inizio del 2013, si concentra sulla formazione per chi si prepara da laico, pastore o diacono a fare attività di assistenza pastorale ai detenuti nelle strutture carcerarie.
I seminari riuniscono persone che vengono da tutte le parti del centro Italia e in futuro del sud Italia, provenienti dalle chiese metodiste, valdesi, battiste, luterane. Inoltre, si occupa di tenere i rapporti internazionali su queste tematiche con le chiese sorelle in Europa e nel mondo. Non ci si basa soltanto sulle esperienze personali di chi vive l'attività di supporto spirituale in carcere, ma si cerca di ottenere il meglio da ogni settore, da quello giuridico a quello teologico, passando per lo studio di attività di animazione ad ampio respiro.
Finora i segnali di questa nuova fase sembrano incoraggianti, anche se stiamo parlando soltanto di uno dei numerosi aspetti della questione. «Credo si sia intrapresa una strada tutto sommato corretta – afferma Sciotto – non so però se basteranno i soldi perché questi risultati siano messi in campo».
Del resto, non bisogna mai dimenticare che dietro tutti questi numeri si nascondono sempre persone, con tutte le storie che ne derivano.