I molteplici aspetti della teologia politica
26 aprile 2023
Un libro pubblicato dall'editrice Claudiana riunisce alcuni recenti saggi di Jürgen Moltmann
Teologia politica del mondo moderno* è una raccolta di discorsi tenuti in pubblico da Jürgen Moltmann negli ultimi vent’anni, il che rende arduo scriverne una recensione. La pandemia è uno degli argomenti trattati, insieme alla trasformazione digitale, al libro di Yuval N. Harari Homo Deus, agli Stati Uniti, alla Cina, e al cristianesimo europeo. Quello che tiene insieme il libro del teologo che ha compiuto 97 anni l’8 aprile è la speranza in un mondo migliore che ci viene incontro.
Moltmann riprende a esplorare che cosa ha da dire la “teologia politica”, introdotta alla fine del XX secolo da lui stesso e da J. B. Metz, rispetto alla contemporaneità e alle relative crisi. La tesi di fondo è che il mondo occidentale vive di una teologia implicita che si presenta in Europa in forma umanista e atea; questa tesi offre a Moltmann la possibilità di porre la domanda sulla responsabilità della teologia cristiana, invece di fermarsi alla mera constatazione della trasformazione secolare e ai problemi relativi legati alle chiese e alla teologia. Egli ritiene che la teologia cristiana, soprattutto riguardo alle crisi globali, sia chiamata a criticare questa teologia implicita del mondo moderno e sia al contempo chiamata a un’autocritica che introduca un cambiamento. Per Moltmann il compito della teologia non si limita alla dimensione ecclesiastica o della fede privata ma è esplicitamente anche «teologia pubblica del cristianesimo nella sua responsabilità politica».
È molto interessante che Moltmann collochi l’ateismo dell’età moderna non fuori del cristianesimo ma come conseguenza dell’immagine biblica stessa: L’imago Dei – dominium terrae è diventato fondamento per la crescente identificazione dell’uomo moderno con un dio onnipotente. Quindi, ciò che si presenta come ateismo dell’età moderna in verità non è nient’altro che un “antropoteismo” inaugurato da un’interpretazione moderna di Genesi 1, 27-28, che nella teologia politica viene utilizzato tuttora per legittimare il dominio umano sul mondo (p. 17) Moltmann identifica l’antropoteismo moderno come risultato della teologia politica nell’epoca della scienza e della tecnica tra Pico della Mirandola e Kant. Come cura contro questa “sindrome antropoteista”, l’autore propone: 1) la Saggezza che colloca nella tradizione di Giobbe e tramite la quale l’individuo viene messo in grado di sperimentare la distanza tra sé e il Creatore; 2) una nuova interpretazione della creazione dell’uomo che svincola il concetto della somiglianza dell’uomo a Dio dal mandato di dominio sulla terra, leggendolo nella consapevolezza che Dio non è solo onnipotenza, ma anche «giustizia e amore, pace e misericordia, libertà e bellezza il bene supremo (summum bonum) e l’essere» (p. 30).
Questo libro viene annunciato dall’editrice come sguardo profetico che non guarda solo al futuro, ma racconta «ciò che deve essere ricordato, sostenuto e fatto in un dato momento. Così i profeti forniscono un orientamento soprattutto per il presente». Infatti Moltmann dedica due interi capitoli alla riflessione sul significato della speranza messianica per la costruzione del mondo moderno.
In una ricostruzione del pensiero del chiliasmo cristiano nel XVII e XVIII secolo1 Moltmann mostra come la speranza profetica di Israele e la speranza apostolica del cristianesimo fossero legate e offrissero insieme in modo implicito il fondamento per la trasformazione dall’età della confessionalizzazione alla formazione degli Stati democratici fondati sui diritti. Moltmann individua nella speranza chiliastica nel futuro e la speranza trascendente nell’eternità le due dimensione fondamentali per una teologia cristiana capace di mantenere l’equilibrio tra le cose penultime e le cose ultime (p. 31).
L’età moderna è stata guidata dalla speranza che il tempo del compimento fosse vicino, prendendo come segni evoluzione, crescita, espansione, utopie e rivoluzioni. Solo nelle catastrofi come la Prima e la Seconda Guerra mondiale e con colonialismo, schiavitù e sfruttamento delle risorse naturali tipici dell’epoca moderna, la speranza si è rivelata illusione. Una speranza capace di indicare un futuro deve fungere da ponte, capace di superare l’abisso della distruzione senza negare le catastrofi del passato. Una tale speranza deve “incontrare i propri morti” vedendoli nella luce della risurrezione per costruire un legame tra passato, presente e futuro. Moltmann ne trova l’immagine biblica in Ezechiele 37 e chiede che la “cultura della memoria“ invocata da molti, sia anche accompagnata da una “cultura della speranza” (p. 69). Anche se Moltmann fa germogliare speranze dimenticate e dalla sua analisi emergono nuove prospettive, in questa parte del libro le sue proposte per la costruzione del futuro con le sue sfide economiche ed ecologiche rimangono vaghe. Forse sarà nostro compito, quello delle generazioni più giovani, porre queste domande e cercare risposte sostenibili.
Interessanti le considerazioni dell’autore riguardo all’identità cristiana europea che si deve posizionare tra “cristianesimo occidentale/Occidente cristiano” e Europa. Con l’idea d’Europa sono connessi i valori culturali dei diritti umani, della libertà e tolleranza mentre con l’idea del “cristianesimo occidentale“ connettiamo i valori cristiani dell’amore per il prossimo, la carità e l’aiuto nel momento del bisogno (p. 104). Tali valori non sono alternativi, bensì inseparabilmente connessi tramite la storia e il luogo geografico condivisi. Il teologo chiede di riconoscere e analizzare la storia intrecciata: Il cristianesimo ha perso e guadagnato influenza grazie al concetto moderno d’Europa. Valori cristiani non sono solo stati abbattuti, ma anche realizzati nell’Europa moderna. Moltmann chiede alla teologia e alle chiese un lavoro che si dovrebbe forse chiamare “riparativo”: ricordando all’Europa le sue radici cristiane, e riconoscendo le proprie speranze e valori. La profondità dell’intreccio dei valori condivisi, Moltmann la vede realizzarsi nel diritto della libertà religiosa, alla quale dedica considerazioni che meritano una lettura attenta.
Un filo rosso percorre quasi tutti i capitoli: la crisi climatica e il suo superamento. Moltmann parla della vita negli “ultimi tempi” senza però pensare in termini apocalittici. Invita la teologia cristiana a ripensare la teologia della creazione: allontanarsi dall’“antropoteismo” ereditato dall’ateismo moderno e mettere in atto una “antropologia ecologica“ che viva la santificazione di tutte le creature rinunciando in modo radicale a esercitare il proprio potere nella creazione. Invece di parlare della salvaguardia della creazione, Moltmann invita a pensare la creazione dalla fine, dalla prospettiva del regno e della nuova creazione in una “teologia della terra“. «La creazione originaria rappresenta esclusivamente il primo atto di un processo aperto […]. Non si può comprendere l’escatologia alla luce della creazione, occorre invece comprendere la creazione alla luce della escatologia. Altrimenti il significato della nuova creazione andrebbe perduto» (p. 189).
L’ultimo capitolo è dedicato alla “teologia della liberazione”, alla “teologia nera” e alla “teologia femminista”: se ne discutono le cause come argomenti isolati e purtroppo senza mostrare il profondo coinvolgimento tra teologie e potere, razzismo e patriarcato. Questa mancanza risalta ancora di più nella misura in cui Moltmann stesso sviluppa le proprie posizioni, nella maggior parte dei casi, in dialogo con le voci della élite filosofica occidentale e del protestantesimo culturale europeo. Per la ricostruzione critica della teologia politica del mondo moderno sarebbe stato desiderabile e forse anche necessario considerare autori e autrici al di fuori dalle posizioni egemoniche.
La voce profetica di Jürgen Moltmann è senz’altro radicata nel presente e orientata all’azione per un futuro migliore. Tuttavia, non posso trattenermi dal pensare che in questi tempi non abbiamo più bisogno di solisti ma di voci disponibili a “fare squadra“ e formare un coro per allargare e approfondire la visione profetica. La “teologia politica“ può essere un punto di partenza per costruire una teologia della speranza realistica e per formare una teologia politica che porti oltre la prospettiva stessa dell'autore.
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1. «Con il termine “chiliasmo” si intende l’attesa di un regno millenario di Gesù Cristo antecedente alla fine del mondo e precedente alla nascita del nuovo mondo di Dio» (p. 31).
* J. Moltmann, Teologia politica del mondo moderno. Torino, Claudiana 2022, pp. 205, euro 19,00.
Foto di Maeterlinck