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Le responsabilità della crisi climatica

Le inondazioni in Pakistan hanno causato 10 miliardi di dollari di danni. Il costo dovrebbe cadere, secondo molti, su chi ha emesso maggiori quantità di gas serra, ovvero le nazioni più ricche

Nelle ultime settimane il Pakistan è stato colpito da alluvioni devastanti. La portata della catastrofe la pone su un piano diverso rispetto ai pur tragici eventi meteorologici estremi a cui abbiamo assistito di recente. Le stime parlano di circa un terzo del paese interessato dalle inondazioni, con almeno 1200 vittime lungo il territorio.

Gli effetti si faranno quindi sentire su interi settori della società e dell’economia. Migliaia di bambini non potranno tornare a scuola. Centinaia di migliaia di persone sono sfollate e milioni di cittadini necessitano di aiuto umanitario. Intere filiere agricole sono gravemente danneggiate, con danni ai campi ma anche alle infrastrutture che sono ora inutilizzabili. Le strade interrotte impediscono l’accesso agli aiuti umanitari e rallenteranno la ripresa di molte attività per lungo tempo.

La stima ufficiale dei danni ammonta a 10 miliardi di dollari, per un lavoro di ricostruzione che dovrà essere portato avanti per anni. Durante i quali, peraltro, potrebbero verificarsi altri eventi estremi del genere, creando nuovi danni e rallentando ulteriormente lo sforzo avviato.

La domanda che aleggia è cruciale: chi deve farsi carico di queste spese?

Sappiamo che eventi di questo tipo sono alimentati dal cambiamento climatico, causato a sua volta dalle emissioni di gas serra. Il Pakistan è responsabile soltanto dell’1% delle emissioni di questi gas. Perciò, molti dicono che dovrebbero essere le nazioni ricche, che sono anche le maggiori responsabili del cambiamento dell’atmosfera del pianeta, a pagare per questi disastri. Lo dicono, ad esempio, sia l’attuale ministra per il cambiamento climatico, sia il suo predecessore. La pressione in questo senso sta salendo all’interno dell’ONU. Al momento però non sembra arrivata una risposta adeguata a questa richiesta.

Eppure il tema non è affatto nuovo. Nel 2009, alla conferenza delle Nazioni Unite per il clima di Copenhagen, le nazioni più ricche promisero di mettere a disposizione 100 miliardi di dollari all’anno per le nazioni più povere, con l’obiettivo di adattare i paesi alla crisi climatica e mitigare gli effetti delle temperature in aumento. L’iniziativa non si è mai materializzata. Senz’altro non è mai stata raggiunta questa cifra, e inoltre il denaro è spesso stato offerto nella forma di prestiti, con la conseguenza di aumentare il già immenso debito pubblico dei paesi in difficoltà (e generando profitto, invece, per gli investitori).

Alla COP 26 di Glasgow, lo scorso anno, è stata siglata una nuova promessa: quella di spendere 40 miliardi all’anno a partire dal 2025 in “finanziamenti di adattamento”. In questo caso si sfugge alla logica dei prestiti, ma il nodo è lo stesso: questo denaro arriverà davvero? I paesi a basso e medio reddito senz’altro cercheranno qualche risposta seria alla COP 27, che si terrà a novembre in Egitto.

Qui puoi il podcast dell’approfondimento su questo tema, andato in onda su Cominciamo Bene, trasmissione di RBE.

 

Ascolta "Chi paga le catastrofi climatiche? - La rassegna stampa di RBE - 5-09-22" su Spreaker.

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