Russia-Ucraina, un conflitto (anche) religioso
25 febbraio 2022
Dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica si sono moltiplicate le tensioni fra le chiese ortodosse di Mosca e Kiev. Ma oggi tutti chiedono la pace
Rivolgendosi ai fedeli giovedì 24 febbraio i prelati associati al cristianesimo ortodosso legato a Mosca hanno rilasciato dichiarazioni che lamentano le sofferenze causate dall'attacco in corso contro l'Ucraina da parte delle forze russe e chiedono la pace.
Parlando ai membri della Chiesa ortodossa ucraina che rispondono al Patriarcato di Mosca, il metropolita Onuphry di Kiev ha chiamato l'invasione dell'Ucraina «un disastro».
Nelle sue osservazioni si è rivolto direttamente al presidente russo Vladimir Putin. «Difendendo la sovranità e l'integrità dell'Ucraina, ci appelliamo al presidente della Russia e gli chiediamo di fermare immediatamente la guerra fratricida», ha detto. «I popoli ucraino e russo sono usciti dalla fonte battesimale del Dniepr, e la guerra tra questi popoli è una ripetizione del peccato di Caino, che ha ucciso il proprio fratello per invidia. Una tale guerra non ha alcuna giustificazione né da parte di Dio né da parte degli uomini».
La frattura religiosa si sovrappone al conflitto politico in Ucraina. Alla fine del 2018 e all'inizio del 2019, una parte della chiesa ortodossa in Ucraina ha dichiarato l'indipendenza dal Patriarcato ortodosso in Russia cui era legata. La Chiesa ortodossa di Costantinopoli ha rapidamente riconosciuto la neonata Chiesa ortodossa ucraina indipendente, ma gli ortodossi russi hanno reagito negativamente e continuano a rifiutare di riconoscerla.
Eppure di fronte al dramma in corso la dichiarazione di Onuphry, fedele alla Chiesa di Mosca, ha mostrato una relativa unità con il metropolita Epifanio I di Ucraina, del Patriarcato di Kiev, che all'inizio di questa settimana ha invitato i leader della comunità ortodossa legata a Mosca a parlare a favore della pace immediatamente.
«L'aggressore deve sentire e vedere che voi non lo state aspettando, non avete bisogno delle sue truppe e del suo potere. È il dovere civico e cristiano di ognuno di voi personalmente».
Anche il patriarca ortodosso di Mosca Kirill si è rivolto ai fedeli russi ieri, facendo appello a tutte le parti coinvolte nel conflitto in Ucraina «per evitare vittime civili» e sottolineando la necessità di «superare le divisioni» tra i popoli russo e ucraino.
«Con profondo e sentito dolore, percepisco la sofferenza delle persone causata dagli eventi in corso», ha detto Kirill al clero ortodosso e ai fedeli. «Sono profondamente in empatia con tutti coloro che sono stati toccati dalla disgrazia» in Ucraina, Russia e altrove, ha aggiunto.
«Invito tutte le parti in conflitto a fare tutto il possibile per evitare vittime civili», ha aggiunto.
Kirill ha fatto appello a una versione della storia che lega i popoli russo e ucraino, in particolare il battesimo del principe Vladimir I di Kiev, noto come San Vladimir, che si convertì dal paganesimo nel 10° secolo. Dopo aver conquistato la Crimea, Vladimir fu battezzato come cristiano insieme a molti del suo popolo, dando inizio al lento processo di cristianizzazione dell'Europa orientale.
«Credo che questa comunità data da Dio aiuterà a superare le divisioni e le contraddizioni che sono sorte e che hanno portato all'attuale conflitto», ha concluso.
Nel 2018 il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, primus inter pares del mondo ortodosso, ha concesso l’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina, revocando la validità della lettera sinodale del 1686 che concedeva al patriarca di Mosca la nomina del metropolita di Kiev e attirandosi di conseguenza le ire di Mosca.
Una scelta che è parsa da subito politica più che dettata da motivazioni religiose. Il conflitto in corso fra Ucraina e Russia, ultimo e al momento più doloroso tassello del processo di disgregazione post sovietico, ha accentuato tensioni e rivendicazioni già in essere. Se Mosca e Kiev sono in guerra, per i vertici politici ucraini diventa insopportabile un controllo russo sulle chiese; da qui la richiesta di autonomia più volte espressa negli anni. Ma l’Ucraina è per il patriarcato di Mosca un grande serbatoio di sacerdoti, di chiese e di fedeli. L’occupazione russa della Crimea e delle regioni orientali ucraine, le migliaia di vittime, gli sfollati interni, con una popolazione stretta fra incudine e martello non hanno fatto che accentuare un processo in corso. La Russia non vuole perdere un grammo del suo peso, e la chiesa ortodossa è la longa manus del Cremlino in terra oggi nemica.
Sono anche i confini del potere del patriarca di Costantinopoli ad essere oggetti di liti. A lui spetta presiedere ogni concilio di vescovi ed è in pratica il portavoce della intera comunione ortodossa.
Ma il peso carismatico di tale carica è messo in discussione dai numeri: il patriarcato di Costantinopoli conta oggi meno di cinquemila fedeli in Turchia e tre milioni nella diaspora, mentre il patriarcato di Mosca annovera almeno cento milioni di fedeli, poco meno della metà dell’intera popolazione ortodossa mondiale, e finanzia a piene mani le varie chiese ortodosse nel mondo, dalla Francia alla Bulgaria agli Stati Uniti e ultimamente è intervenuta in forza in Africa.
Le tensioni covano sotto la cenere da tempo: da chi far dipendere le varie diaspore e a chi spettano decisioni sulle autocefalie sono ovviamente questioni rilevanti negli equilibri del mondo ortodosso.
Bartolomeo è accusato da Mosca di eccessivo accentramento di potere, ma i russi oggi forse rimpiangono di non aver preso parte al concilio panortodosso del 2016, il primo dopo quasi 1200 anni. Era quello il luogo in cui tentare di districare varie matasse, e forse di pesare le varie forze in campo, ponendo in questione eventualmente il tema delle prerogative dell’autocefalia (che dopo l’anno 1000 la chiesa ortodossa tende a attribuire ad ogni propria chiesa nata in seno ad una nazione, per cui quella ucraina è una scelta che si inserisce in un filone esistente).
La Russia, allora Rus’, divenne ortodossa quando il principe Vladimir nel 988 comprese che per gestire l’ampio regno che si estendeva dall’Ucraina e la Polonia fino agli Urali, e la cui capitale era Kiev, fosse necessario imporre una sola religione in sostituzione delle varie credenze politeiste e animiste presenti al momento.
La leggenda narra che Vladimir inviò degli emissari a prendere informazioni riguardo le principali religioni: l’islam, l’ebraismo e il cristianesimo. Il primo venne scartato, racconta il mito, perché il Corano vieta il consumo di alcolici, mentre «il bere è il più grande piacere dei russi» secondo il principe, che passerà alla storia come Vladimir il Santo. Anche l’ebraismo non passò il vaglio perché la questione del popolo disperso nella diaspora parve a Vladimir un segnale della cattiva predisposizione di Dio nei confronti del popolo ebraico. I delegati parlarono assai male di Roma, data la fredda accoglienza dimostrata dal papa, mentre raccontarono meraviglie di Costantinopoli e della fede ortodossa. La scelta fu quindi logica. In realtà le motivazioni furono certamente di natura politica, dal momento che Kiev, collocata in posizione geografia strategica, da tempo intratteneva relazioni con l’Impero bizantino. La città divenne una provincia ecclesiastica sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli.
Saranno le razzie delle popolazioni tartaro-mongole e le guerre interne per le successioni a portare al tracollo della Rus’ attorno alla metà del XIII secolo. Kiev è devastata. I vertici religiosi ortodossi fuggono e cercano rifugio in varie città, fino a stabilirsi a Mosca, che era stata fondata solo nel 1147 e il cui Granducato si stava rivelando l’unico in grado di contrastare le scorribande delle stirpi asiatiche. L’influenza dell’attuale capitale russa cresce nei secoli e con la caduta di Costantinopoli nel 1453 ad opera degli ottomani Mosca si propone come la “Terza Roma”, dopo la prima, papista, e la seconda, sul Bosforo, finita in mano islamica.
La chiesa ortodossa russa assume lo stato di autocefalia, cioè di autonomia, nel 1448, e nel 1589 diventa Patriarcato, con l’influenza su tutta l’area, compresa l’Ucraina. I cui vescovi però, fra Mosca e Roma in buona parte scelgono la seconda: sono gli “uniati”, le chiese di rito orientale in comunione con la chiesa cattolica, e oggi ferventi supporter del nazionalismo ucraino.
La situazione rimane sostanzialmente immutata fino agli anni dell’impero sovietico: la chiesa ortodossa Ucraina è un esarcato legato al Patriarcato di Mosca. Autonoma quindi, ma non troppo. Con la caduta dell’Urss emergono tutte le tensioni geopolitiche dell’area, con varie nazioni che ottengono l’indipendenza e al contempo richiedono un’autonomia anche nelle istituzioni religiose.
Foto: il monastero di San Michele a Kiev