Patrick Zaki e i cristiani in Egitto
14 dicembre 2021
Il caso dello studente è un’occasione per ripercorrere con il giornalista Luigi Sandri la vicenda della comunità copta. Ciò che serve è lasciarsi alle spalle antichi e superati pregiudizi
«Libertà, libertà, libertà», sono le prime parole che Patrick Zaki ha postato sul suo nuovo profilo Twitter; il primo messaggio diffuso dallo studente dell’Università di Bologna scarcerato pochi giorni fa in Egitto e detenuto per 22 mesi per aver espresso – recita l’accusa – pareri critici sull’attuale governo egiziano. Per questo motivo, appena rientrato in Egitto dall’Italia (febbraio 2020) Zaki viene prelevato dalle autorità di controllo e interrogato, poi arrestato e trattenuto in carcere con udienze transitorie, sino allo scorso 9 dicembre. La prossima udienza si terrà a febbraio.
Un’immagine accompagna la lieta notizia della scarcerazione, il disegno circolato in modo virale” nel web, che ritraeva il ricercatore torturato e ucciso in Egitto Giulio Regeni abbracciare simbolicamente Zaki per rassicurarlo e proteggerlo dalle violenze e dalle ingiustizie. Un abbraccio reale è quello che i genitori di Giulio hanno rivolto alla famiglia Zaki per celebrare la scarcerazione e il rientro di Patrick tra le mura domestiche, finalmente circondato dall’affetto della sua famiglia in Egitto. Un evento atteso, festeggiato dall’Italia intera, dalle associazioni, da Amnesty International e da Articolo 21, che hanno sempre tenuto acceso il riflettore sulla vicenda, dalla società civile e politica. Festa in particolar modo a Bologna, città adottiva di Patrick. Zaki, ospite su Rai3 domenica sera non ha parlato della prossima udienza: il suo desiderio, ha però affermato, è quello di poter tornare al più presto in Italia, se la sentenza sarà assolutiva.
Zaki appartiene alla minoranza copta. A Luigi Sandri, editorialista della rivista interreligiosa Confronti, abbiamo chiesto di parlarci della minoranza religiosa cristiana presente in Egitto.
«Copto – dice– è un termine che deriva dal greco Aἰγύπτιος (egiziano), con cui si designano gli egiziani cristiani». Per capire perché vi sia questa presenza cristiana in Egitto è necessario tornare indietro di 1500 anni: «Nel Concilio di Calcedonia – città dirimpettaia di Costantinopoli –, quarto Concilio ecumenico della storia del cristianesimo, convocato dall’Imperatore Marciano nel 451 dell’era volgare, si stabilì che in Cristo vi sono due nature: quella divina e quella umana, in una sola persona. Coloro che furono definiti (erroneamente, chiosa Sandri) “monofisiti”, cioè sostenitori di una sola natura di Cristo come Armeni, Siri e Copti, rifiutarono la definizione di quel Concilio.
Distanze teologiche che, a mio umile avviso, furono legate per lo più a incomprensioni linguistiche. L’Egitto che allora era sotto il dominio bizantino colse un’occasione, rifiutando la decisione, proprio per prendere le distanze dall’Imperatore di Costantinopoli, e dunque, la strada del distacco da quel potere. In questo contesto, quando nasce l’Islam – Mohammed muore nel 632 –, gli arabi iniziano la loro conquista a Est verso la Siria, l’Iraq, l’Iran, cioè la Persia; e a Ovest verso tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo: l’Egitto, l’attuale Tunisia, l’attuale Libia, l’attuale Algeria e nel 711, oltrepassando lo Stretto di Gibilterra, verso la Spagna dove il loro ultimo avamposto rimarrà sino al 1492, l’anno in cui Colombo “scopre” l’America. Quando gli arabi arrivano in Egitto, entrandovi senza alcuna resistenza tranne qualche pallida reazione bizantina, lo occupano. Dal 639 l’Egitto è in mano araba di fede musulmana. Sono queste le radici di una fede che poi evolve, anche per ragioni politiche. Un cambiamento di rotta, anche politico, che innescò importanti mutamenti. Ad Alessandria d’Egitto – che si è sempre glorificata d’esser stata fondata da Marco, il segretario di Pietro, dunque una delle più antiche chiese cristiane “apostoliche” –, si verifica una novità: la coesistenza di ben due patriarchi: uno bizantino e l’altro copto. Il Patriarcato copto nel tempo diventa predominante, sia come presenza sia come numero di fedeli. Ancor oggi vi sono infatti due patriarchi ad Alessandria, quello copto e quello greco. La stragrande maggioranza dei cristiani egiziani, tuttavia, appartiene al patriarcato copto».
Un Patriarcato che conta dieci milioni di fedeli su cento milioni di abitanti (il 10%). Eppure per Sandri «alcuni studi recenti affermano che la presenza copta sia maggiore e che questa forse arrivi quasi al 20%», dunque si tratta di una presenza importante, certamente minoritaria ma corposa. L’Egitto, infatti, è il Paese che possiede la più alta presenza cristiana di tutto il Medio Oriente.
– Perché la minoranza copta non riesce a godere di una piena libertà religiosa nell’Egitto che la vede protagonista sin dalla notte dei tempi?
«La predominante presenza araba in qualche misura ha portato i governi a emanare leggi restrittive e divieti a prassi consuetudinarie per i copti, rendendo difficile la loro vita. Di fatto non è riscontrabile una piena libertà religiosa per la minoranza copta. Una situazione che talvolta degenera anche nell’impossibilità di potere avere una piena libertà d’espressione e di movimento. A esempio è difficile per un copto poter fare carriere politica in Egitto».
– Questo, dunque, è lo sfondo su cui si pone la vicenda Zaki.
«Parliamo di limitazioni – ribadisce Sandri –, non di persecuzioni, anche se le limitazioni di per sé sono azioni vessatorie. Dal punto di vista religioso stretto, è doveroso ricordare che, se per circa 15 secoli tra i copti e la chiesa di Roma non v’è stato mai un dialogo – ritenendo Roma eretici i monofisiti –, negli ultimi cinquant’anni i rapporti sono cambiati. Nel 1973 il Patriarca Shenuda III di Alessandria è stato in visita a Roma per incontrare papa Paolo VI: insieme scrissero un pezzo di storia della chiesa. In una Dichiarazione comune affermarono che era ormai giunta l’ora di porre fine alle rivalità, alle discussioni teologiche contrastanti e alle incomprensioni legate al Concilio e al dopo-Concilio di Calcedonia. Si disse allora che le divergenze del passato “non erano vere divisioni di fede” ma piuttosto motivate da rivalità politiche, culturali o dal diverso significato dato ad alcune parole teologiche. Insomma, il papa e il patriarca ammisero che l’antica, amarissima divisione e lacerazione della chiesa, era stata “un tremendo equivoco” perché già allora si affermavano concetti identici, seppure con parole diverse. Poi, il Patriarca copto Tawadros II di Alessandria e papa Francesco si sono incontrati due volte, ribadendo il pieno accordo al documento firmato dai loro predecessori, nel quale si ribadisce la comune fede in Gesù Cristo. Aiutare la minoranza copta, capirla, conoscerla è importante per tutti noi. Solo capendo a fondo le motivazioni di quell’errore “capitale”, teologico, nato nel passato, possiamo comprendere ciò che accade oggi, senza farci condizionare da un percorso lastricato dai pregiudizi e da accuse reciproche di eresie, che le due “fazioni” religiose si attribuirono nel passato».