Sradicare il razzismo strutturale
01 luglio 2021
Nel suo ultimo incontro, il Consiglio esecutivo della Chiesa episcopale ha lanciato una nuova iniziativa anche sulla scia di una recente ricerca sul razzismo nella denominazione
Durante l’ultimo Consiglio esecutivo della Chiesa episcopale negli Stati Uniti (online il 25-28 giugno), l’organo di governo della denominazione che riunisce rappresentanti laici ed ecclesiastici, il vescovo primate Michael Curry ha annunciato una nuova iniziativa «per la verità e riconciliazione razziale». Si tratta della creazione di un gruppo di lavoro, di cui farà parte lo stesso primate, che integrerà le iniziative già attuate (qui una presentazione di alcune risorse e progetti), in uno sforzo ancora maggiore per «dire la verità sulla sua complicità nel razzismo e smantellare le strutture che lo perpetuano» (lo si legge nell’articolo che presenta l’iniziativa).
Tra le azioni più recenti, ha dato una spinta decisiva il rapporto diffuso in aprile sulla giustizia razziale nella leadership episcopale (Racial Justice Audit of Episcopal Leadership), da cui sono emersi dati spiazzanti. Hanno preso parte al monitoraggio 1300 leader di chiesa o di diocesi, membri di consigli, vescovi, deputati… e dalla ricerca, durata quasi tre anni di lavoro (qui la presentazione) sono emersi ben nove modelli di razzismo presenti nella “cultura ecclesiastica” episcopale. Dall’invisibilità all’ipervisibilità delle persone “di colore” (categoria che comprende afroamericani, ma anche latinoamericani, nativi americani e asiatici americani), allo sbilanciamento dei poteri e dei ruoli. Nonostante la chiesa sia impegnata a combattere le discriminazioni, continua a essere prevalentemente bianca e in molti intervistati sono emerse chiaramente esperienze di emarginazione o discriminazione, mentre spesso i “bianchi” non notano nemmeno questi fenomeni.
Il primate Michael Curry aveva salutato positivamente questo documento, in quanto fornisce «una fotografia reale delle dinamiche e della realtà di razzismo strutturale e istituzionale, ci ha dato una linea di base su dove siamo, per aiutarci a capire dove possiamo, e dobbiamo, con l’aiuto di Dio, andare».
La denominazione ha messo in atto un cambiamento di rotta per fare sì che le persone di colore fossero più rappresentate negli organi di governo ecclesiastici, infatti la commissione che definisce il programma finanziario e il budget della denominazione è ora formata al 50% da persone di colore. Ma questo ovviamente non basta, per “sradicare” un fenomeno bisogna andare, appunto, alle sue radici: prendere coscienza della propria tradizione e storia (anche rispetto ai temi dello schiavismo e della segregazione) e mettere in atto una decisa azione antirazzista e di riconciliazione: in questa ottica va anche “Becoming beloved Community”, la principale iniziativa di riconciliazione razziale della Chiesa episcopale avviata nel 2017.
La novità della nuova iniziativa è che si tratta di un impegno a livello globale dell’intera chiesa episcopale e della Comunione anglicana, che coinvolge quindi tutti i paesi in cui si trova, ha detto il presiding bishop Curry, osservando che è la prima volta che questo viene fatto: quindi dagli Usa al Sudafrica, dal Rwanda alla Nuova Zelanda,…
Faranno parte del gruppo vescovi e laici, alcuni già impegnati nel Comitato su “antirazzismo e riconciliazione” del Consiglio esecutivo, o nell’implementazione della “Beloved Community”.
Il nuovo gruppo è stato incaricato di sviluppare delle proposte e un budget per realizzarle, da sottoporre alla prossima General Convention (la n. 80, che si terrà a Baltimora fra un anno) per tracciare «un percorso verso la verità»: un percorso indubbiamente non facile, perché dovrebbe portare alla luce «complicità passate e presenti con l’ingiustizia razziale», come ha osservato Curry, ma tutto questo al fine di «correggere vecchi errori, riparare rotture e trovare una visione comune per la guarigione e la riconciliazione».
Naturalmente, nell’incontro il Consiglio esecutivo ha parlato anche della recente scoperta di centinaia di tombe nei pressi di “collegi per bambini nativi” in Canada e della responsabilità che anche la Chiesa episcopale potrebbe avere, essendo stata coinvolta nella gestione di alcuni istituti analoghi negli Usa (alcuni erano di iniziativa delle chiese, altri del governo federale), accomunati dall’intento di cancellare in modo forzato la cultura e l’identità delle popolazioni originarie del territorio americano (inclusi Alaska e Hawaii). I dati sono di difficile reperimento, ma la Chiesa episcopale potrebbe essere coinvolta in 9-18 scuole tra il 1870 e la metà del XX secolo.