Nuova Caledonia, vince il no all'indipendenza dalla Francia. Il ruolo della Chiesa protestante
08 ottobre 2020
Si assottiglia il margine fra il Si e il No all'indipendenza, rendendo incerto il prossimo e ultimo referendum sul tema, previsto per il 2022. Le chiese impegnate in un percorso condiviso e non violento
Domenica 4 ottobre si è tenuto in Nuova Caledonia un nuovo referendum sull'indipendenza dalla Francia. Nel 2018, al primo scrutinio, aveva vinto il “no” con il 56,67%, contro il 43,33 del “sì”. Questa era stata una sorpresa per i separatisti, ai quali i sondaggi attribuivano il 25-30%.
Due anni dopo il “sì” ha raccolto il 46,74%, contro il 53,26% del “no”. Così, la causa della "piena sovranità" (per usare l'espressione scelta per la domanda posta agli elettori) è progredita di quasi 3,5 punti. Questo guadagno si spiega con una mobilitazione dei separatisti ancora più forte rispetto al 2018, e soprattutto con i tanti giovani kanaki, la popolazione locale, che nel frattempo hanno raggiunto l'età per votare o si erano astenuti due anni fa e che questa volta hanno partecipato al referendum. Questi risultati sanciscono una divisione in crescita: i kanaki ora votano il 90% per l'indipendenza; la Provincia del Nord e quella delle Isole, gestite dai separatisti, hanno votato in modo schiacciante a favore della “piena sovranità”; d'altra parte, la provincia meridionale, e in particolare la grande Nouméa, nelle mani dei lealisti e abitata da francesi o loro discendenti, ha manifestato chiaramente il desiderio di rimanere francese. L'Accordo di Noumea, firmato nel 1998, prevedeva un terzo referendum nel 2022 se il “no” avesse vinto i primi due, come dunque accaduto.
Questo sottile margine di differenza fra il Si e il No rende molto incerta una previsione sugli esiti dell'ultimo referendum fra due anni.
I protestanti della Nuova Caledonia accompagnano il movimento di decolonizzazione. Già nel 1979, l'allora Chiesa evangelica in Nuova Caledonia e Isole della Lealtà (Eencil), la principale Chiesa derivante dalla Missione di Parigi formata a larghissima maggioranza da kanaki, aveva preso posizione a favore della 'indipendenza. Ma a differenza dei partiti indipendentisti dell'epoca, aveva fissato il suo impegno a alcune condizioni: l'emancipazione doveva essere fatta nella non violenza, senza escludere nessuno, e senza una rottura totale con la Francia. Si è occupata principalmente di istruzione e formazione di dirigenti e quadri in vista di una futura indipendenza.
Oggi, i separatisti non sono gli stessi di quarant'anni fa: fenomeno da segnalare, si sono uniti alla prospettiva non violenta della Chiesa protestante. Infatti, dopo gli scontri e tragedie degli anni Ottanta che provocarono un centinaio di morti e ferite ancora non rimarginate nella società delle isole del Pacifico, iniziò un processo di decolonizzazione ancora in atto, con in particolare un riequilibrio a beneficio delle regioni a maggioranza Kanaka. Era stato promosso un concetto consensuale denominato “Destino Comune”; poteva essere inteso con o senza la Francia: il referendum avrebbe deciso.
I protestanti hanno abbracciato pienamente questa dinamica e l'ideale del "destino comune", che hanno inteso essere sinonimo di preparazione all'indipendenza con tutti e tutte, per tutti e tutte, senza esclusioni, indigeni e francesi. Questo è il motivo per cui il nome della loro Chiesa è stato cambiato, nel 2013, in Chiesa protestante di Kanaky - Nuova Caledonia (Epknc): le due opzioni possono dunque coesistere, come le due bandiere che sventolano congiuntamente sui frontoni di tutti gli edifici pubblici.
E internamente, l'Epknc, che al pari della Chiesa valdese è membro anche della Cevaa, la Comunità di chiese in missione, ha lanciato, nel 2018, un programma di studi biblici in tutte le parrocchie a partire dal capitolo 2 della lettera di Paolo agli Efesini: come attualizzare questo invito dell'apostolo a considerarci tutti “Compagni cittadini di un nuovo paese”? Nel 2020 come nel 2018, l'Epknc ha ribadito la sua posizione a favore dell'indipendenza. Ma ha sottolineato con altrettanta forza la necessità di una marcia comune e inclusiva nella non violenza. Questo chiaro impegno rischia di rivelarsi inestimabile nei tempi a venire: qualunque sia l'esito del referendum del 2022, i vincitori avranno la meglio con un piccolo margine sugli avversari. Sarà quindi necessario assicurarsi che nessuno venga dimenticato o umiliato. Anche qui i protestanti della Nuova Caledonia o di Kanaky dovranno svolgere un ruolo di grande attenzione e di dialogo.