Quanto siamo veramente “connessi”?
06 maggio 2020
Fra culti virtuali e Santa Cena online, la Chiesa metodista unita, dagli Usa alle repubbliche ex sovietiche, si confronta con le sfide imposte dall’emergenza Coronavirus
In un’area geografica che copre più di 10 fusi orari, il collegamento online può essere fondamentale per rompere l’isolamento, ancora più in questo periodo di emergenza Coronavirus. Stiamo parlando dell’area euroasiatica della United Methodist Church (Umc), che comprende il vasto e diversificato territorio delle repubbliche dell’ex Urss (Bielorussia, Moldavia, Ucraina, Kazakistan e Kirghizistan).
In occasione di Pasqua è stata effettuata la celebrazione di un momento di culto comune “online”, ed è ormai diventata prassi che un pastore venga invitato a predicare in (o meglio per) una chiesa in un’altra città o Paese. Secondo il vescovo Eduard Khegay (come si legge nell’articolo qui), questa situazione ha dato la possibilità di viaggiare virtualmente, di «visitare diverse chiese e fare esperienza dell’aspetto di connessione (connectional) della nostra chiesa. E benché la presenza online non possa sostituire quella fisica, è una meravigliosa opportunità, il fatto che come persone di fede possiamo usarla in un tempo come questo».
Purtroppo, nota il vescovo, non si può raggiungere chiunque, e sono proprio le persone più vulnerabili e bisognose di attenzioni, gli anziani, le più colpite ed escluse.
Quella euroasiatica non è del resto la sola area della Chiesa metodista unita in Europa, ci sono anche l’area settentrionale-baltica, la Germania e l’Europa centrale e quella meridionale, con contesti molto diversi tra loro, così come sono variegate le risposte all’emergenza.
La Norvegia, per esempio, ha risposto con un’esplosione di creatività e attività, alcune già presenti, altre invece nuove e ritiene che «alcune potrebbero avere un impatto duraturo su come i metodisti servono come chiesa nel paese».
Ci sono stati ovviamente, soprattutto all’inizio, tentativi ed errori, ma in seguito è stata adottata una strategia comunicativa più organica: oltre all’uso massiccio delle telefonate, da subito Facebook è stato utilizzato per consolare, guidare e dare speranza alle persone. In seguito, sul canale principale della Conferenza metodista norvegese su Facebook e YouTube, sono state caricate ogni giorno meditazioni curate da pastori o diaconi; già normalmente vengono diffusi culti in chiese locali, che ottengono migliaia di visualizzazioni, e questo è stato potenziato. Come ha dichiarato un sovrintendente distrettuale, essere obbligati a usare i social media «ci ha portati avanti di cinque anni in cinque settimane».
Un pastore ha dichiarato che l’uso di Zoom per gli incontri, soprattutto in piccoli gruppi, è stato molto positivo e ritiene che si continuerà a usare, «quando torneremo alla normalità, in aggiunta agli incontri dal vivo».
C’è però una questione che divide la Umc, soprattutto oltreoceano, ed è la Santa Cena (unico sacramento riconosciuto dalla denominazione, insieme al battesimo): è possibile realizzarla “virtualmente”, preparando ognuno la propria mensa con pane e vino (o succo d’uva)? Alcuni pastori hanno incoraggiato i loro membri di chiesa a farlo, in occasione di Pasqua, trasmettendo loro stessi via video la celebrazione della comunione, convinti che in assenza di una comunione “fisica”, anzi proprio quando questa è resa impossibile, è più forte la necessità della grazia metafisica.
Altri invece, convinti che le Scritture e la dottrina richiedono la presenza, insieme, della congregazione e del celebrante, non l’hanno celebrata.
Il dibattito è proseguito anche a livello dei vescovi e degli studiosi, con la discussione dei pro e dei contro di tale pratica, tenendo conto di quali sono le necessità delle congregazioni.
La discussione prosegue… naturalmente online: sui social, sui siti web, i blog, e tramite podcast…