Il coronavirus e le chiese protestanti svizzere
18 marzo 2020
La Svizzera ha dichiarato «lo stato d’emergenza» e le chiese protestanti dovranno affrontare nuove sfide. Ne abbiamo parlato con la pastora Heidi Federici Danz
La Svizzera dichiara lo stato d’emergenza (o meglio lo stato di «situazione eccezionale»; prima era «particolare») per la pandemia da Coronavirus e chiude quasi tutto per rallentare la diffusione del contagio e tenere «in piedi» il sistema sanitario.
Il provvedimento sarà in vigore sino al 19 aprile, per ora.
Lo ha stabilito il Consiglio federale spiegando che potranno restare aperti solo gli esercizi commerciali di prima necessità.
«Con l’emanazione del decreto – dice a Riforma.it Heidi Federici Danz, pastora della Chiesa Riformata di Berna, Giura e Soletta –, sono state prese misure mirate per contrastare la diffusione del virus ed emesse direttive per la chiusura di locali, bar, discoteche, parrucchieri, negozi, palestre, insomma, tutte le strutture pubbliche ritenute non essenziali. A differenza dell’ultimo decreto italiano, quello elvetico non prevede “l’obbligo” di dimora domestica. Tuttavia, il Consiglio federale (il governo) ha invitato caldamente le persone over 65 e le persone più vulnerabili, come le immunodepresse, a restare a casa».
Le scuole sono chiuse ma, «resteranno aperti gli asili nido e questo per evitare che i bambini possano contagiare la fascia più esposta al virus: i nonni», ai quali molti genitori affiderebbero i propri figli.
Il dilagante contagio preoccupa la politica, la popolazione e ovviamente le chiese.
«Sono 2650 i casi rilevati e diciannove i decessi legati al Covid-19 – prosegue Federici –. Le autorità hanno lanciato un appello accorato alla responsabilità dei cittadini: restare a casa. E hanno chiesto loro, dov’è possibile, di lavorare in “home office”, utilizzando le tecnologie a disposizione, di uscire solo per tragitti verso il luogo di lavoro, per fare la spesa, o raggiungere studi medici o odontoiatrici o per comprare medicine.
Dunque, di evitare contatti, assembramenti di persone. Ciò che più preme le autorità svizzere è far giungere questo messaggio alle fasce più giovani, che si sentono ancora “al sicuro”».
Per farlo giungere in modo chiaro è stata disposta la chiusura di ristoranti, bar, negozi, discoteche, parchi, stazioni sciistiche, luoghi di svago e ritrovo. Resteranno aperti solo i negozi alimentari e le farmacie.
«Qualsiasi manifestazione privata o pubblica è stata sospesa – dice ancora Federici –, a eccezione dei funerali che si potranno svolgere e con un massimo di venti persone, rispettando la prevista distanza di sicurezza.
Anche i culti sono sospesi - Venerdì Santo e Pasqua inclusi-, e così le attività dei giovani, il catechismo (scuola domenicale), i campi giovanili. Per quanto riguarda le confermazioni, è stato detto che "non potranno avere luogo come al solito". D’ora in poi dovremo affidarci al tele-lavoro e ai tele-incontri. Non sarà facile. Non potremo fare le consuete visite pastorali e raggiungere le persone più anziane, ma potremo sempre usare il telefono».
Il provvedimento governativo d’urgenza era necessario: «Da sabato a domenica, in un sol giorno – ricorda la pastora –, il numero di persone positive al virus è aumentato toccando gli oltre 800 casi. Il decreto per contenimento del contagio permette alle chiese sparse sul territorio di poter seguire delle linee guida e ufficiali; molte decisioni prese prima erano il frutto di discussioni avvenute in singole chiese cantonali o, in parte, nelle comunità».
La preoccupazione e la percezione reale del virus aumenta in Svizzera giorno dopo giorno, ricorda ancora Federici, e guardando all’Italia, dice «sono state apprezzate anche le iniziative dei balconi italiani», dove ogni giorno si levano canti, si dedicano applausi ai medici e agli infermieri per il loro prezioso e indispensabile lavoro; «reazioni sociali che hanno “fatto colpo” in Svizzera. Sono attenta, come pastora, a come si stanno muovendo le chiese protestanti e evangeliche italiane», le prime in Europa a doversi adattare all’emergenza coronavirus e a sperimentare nuove strategie per la comunicazione per l’annuncio della Parola.
«D’ora in poi, anche noi, saremo chiamati alla sperimentazione – conclude Federici Danz – e non sarà facile, ma ci daremo da fare».