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Il femminicidio non è «una tragedia familiare»
07 febbraio 2020
La rete GiUliA, il Manifesto di Venezia, l’impegno delle chiese cristiane e l’associazione Maschile plurale aiutano a usare le giuste e doverose parole
Sei donne morte in soli 5 giorni. E ieri Anna Marochkina, 32 anni, è stata uccisa dal marito a Piossasco (To). Tuttavia, i media italiani ancora, e troppo spesso, archiviano questi assassini come «tragedie familiari», «raptus di gelosia» o «tragedie d’amore».
La realtà dice che la cronaca ci informa dell’assassinio di una donna ogni tre giorni.
Il femminicidio, l’espressione corretta da utilizzare, è «l’uccisione diretta o provocata; l’eliminazione fisica o l’annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale».
Per aiutare l’informazione italiana a trattare correttamente la piaga sociale e umana del femminicidio e ad affrontare con il corretto uso delle parole la questione di genere nella sua complessità e profondità è nata la rete GiUliA - giornaliste Unite Libere Autonome. Da loro, e insieme alle associazioni di categoria, è sorto il Manifesto di Venezia.
Il Manifesto delle giornaliste e dei giornalisti per il rispetto e la parità di genere nell’Informazione è stato presentato a Venezia il 25 novembre del 2017, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
«Noi, giornaliste e giornalisti firmatari del Manifesto di Venezia – afferma il documento – ci impegniamo per un’informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno della violenza di genere e delle sue implicazioni culturali, sociali e giuridiche. La descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo cambiamento culturale della società e per il raggiungimento di una reale parità».
Il rispetto della deontologia, dunque, prima di tutto. E un secco «no», al sensazionalismo e a cronache morbose; a divulgare i dettagli della violenza, all’uso di termini fuorvianti come: «amore», «raptus», «gelosia», per crimini dettati dalla volontà di possesso e di annientamento.
E ancora, un deciso «no» alle strumentalizzazioni con la distinzione di «violenze di serie A e di serie B», tra chi sia la vittima è chi il carnefice.
Per fornire strumenti adeguati, oltre al Manifesto di Venezia, le colleghe di GiUliA hanno dato alle stampe pubblicazioni molto utili. Le segnaliamo.
Donne, grammatica e media - suggerimenti per l'uso dell'italiano, a cura di Maria Teresa Manuelli con il contributo di Cecilia Robustelli e la prefazione della presidente onoraria dell’Accademia della Crusca Nicoletta Maraschio (attualmente esaurita). Pamphlet, realizzato per colmare una lacuna dell’informazione. Una guida di facile consultazione, indirizzata soprattutto alle giornaliste e al mondo dei media, affinché l’informazione riconosca e rispetti le differenze di genere, a partire da un uso corretto del linguaggio. Nicoletta Maraschio, presidente onoraria dell’Accademia della Crusca nella prefazione scrive: «C’è un settore dell’italiano contemporaneo che merita un’attenzione speciale, come una lingua possa cambiare sotto la spinta di significative trasformazioni sociali e culturali». In premessa, Alessandra Mancuso, responsabile di GiULiA, ricorda che sono passati quasi trent’anni dalle «Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana»di Alma Sabatini e che il giornalismo, ovviamente con eccezioni, continua prevalentemente a definire al maschile tanti ruoli apicali ricoperti da donne che «hanno fatto carriera».
Al centro di questo manuale la parte dedicata alle «donne nei media» e un’intervista sul tema a Sergio Lepri, direttore dell’Ansa per oltre trent’anni, ed ex docente di Linguaggio dell’informazione e tecniche di scrittura all’Università Luiss di Roma.
Stop violenza: le parole per dirlo a cura di Silvia Garambois e con il contributo di Graziella Priulla, Elisa Giomi e Luisa Betti Dakli, ricorda che «Scrivere di violenza, e di violenza sulle donne, è sempre molto delicato: il rischio di utilizzare stereotipi, di raccontare i fatti “dalla parte di lui”, di giudicare la donna che ha subito violenza per i suoi comportamenti, per la sua storia, per il suo abbigliamento possono condannarla ad una seconda violenza, quella dei media».
Stereotipi - donne nei media, a cura di Marina Cosi, presenta i contributi di: Monia Azzalini, Guido Besana, Stefania Cavagnoli, Mara Cinqueplami, Francesca Dragotto, Camilla Gaiaschi, Luigi Gariglio, Giovanna Pezzuoli, Paola Rizzi, Maria Silvia Sacchi, Luisella Seveso.
«Se anche gli algoritmi sono sessisti, come dimostrato, se i libri di testo per le scuole elementari sono zeppi di mamme che stirano e di babbi che trapanano; se le donne latitano ai vertici di magistratura e politica e finanza; se insomma gli stereotipi dilagano, non c’è da stupirsi che anche i giornali ne siano zeppi. Ma i luoghi comuni fanno male, non solo alle persone, offese dai pregiudizi, ma anche all’evoluzione culturale del Paese» ricorda Marina Cosi e prosegue, «l’informazione non ne è esente. […] Almeno i giornalisti ne stanno diventando sempre più consapevoli».
Giulia Giornaliste – l’associazione che conta 300 iscritte e migliaia di amiche e amici –, «da tempo combatte contro l’uso di parole che nei media negano o offendono: battaglie a favore della declinazione di genere, contro le espressioni che feriscono o giustificano, in favore delle eccellenze femminili con sollecitazioni ed elenchi per dar loro visibilità».
Infine il libro dedicato alle donne, allo sport e al rapporto con i media, curato da Mara Cinquepalmi e con il contributo di Laura Moschini, Manuela Claysset e Mimma Caligaris (fresco di stampa) che s’intitola appunto Donne Sport e Media - Idee guida per una diversa informazione, ed è l’ultimo libro pubblicato dall’associazione di giornaliste. Una guida all’uso corretto della lingua italiana quando si scrive e si parla di sport, insieme a un’analisi su come i giornali trattano lo sport femminile, e su come sarebbe spesso più opportuno parlarne. Il manuale prende spunto dall’omonimo manifesto Donne Media e Sport, realizzato insieme alla Uisp, contiene la prefazione della presidente Silvia Garambois dedicata a Manuela Righini, prima giornalista sportiva italiana.
Per chi fosse interessata (o interessato) ai volumi può scrivere a [email protected] accludendo ricevuta di versamento come donazione a GiULiA giornaliste a partire da un minimo di 10euro a copia, comprensivi di spese di spedizione postale.
L’attenzione e l’impegno per contrasto la violenza di genere è stata significativamente dichiarata anche dalle comunità cristiane presenti in Italia.
Il 9 marzo 2015 a Roma presso Il Senato della Repubblica è stato firmato un appello ecumenico comune, promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei).
«La violenza contro le donne è un’emergenza nazionale. Ogni anno in Italia sono migliaia le donne che subiscono la violenza di uomini, e oltre cento rimangono uccise - si leggeva allora -. Il luogo principale dove avviene la violenza sulle donne è la famiglia: questo è un fatto accertato e grave», denunciava l’appello cinque anni fa.
L’inedita iniziativa della Fcei, accolta dalla Chiesa cattolica insieme al suo Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (Unedi) della Cei, aveva impegnato un gruppo di lavoro per elaborare il testo, firmato da esponenti cattolici e protestanti e ortodossi.
«Questa violenza – si legge – interroga anche le Chiese e pone un problema alla coscienza cristiana: la violenza contro le donne è un’offesa a ogni persona che noi riconosciamo creata a immagine e somiglianza di Dio, un gesto contro Dio stesso e il suo amore per ogni essere umano».
Ma la violenza è soprattutto maschile: «La violenza contro le donne ci riguarda. Prendiamo la parola come uomini. I dati sono allarmanti, anche nei paesi “evoluti” dell’Occidente democratico. Violenze che vanno dalle forme più barbare dell’omicidio e dello stupro, delle percosse, alla costrizione e alla negazione della libertà negli ambiti familiari, sino alle manifestazioni di disprezzo del corpo femminile. […] Noi pensiamo che sia giunto il momento, prima di tutto, di una chiara presa di parola pubblica e di assunzione di responsabilità da parte maschile», afferma l’Associazione nazionale Maschile Plurale, nata a Roma nel maggio del 2007 e che rappresenta una realtà di uomini con età, storie, percorsi politici e culturali e orientamenti sessuali diversi, radicati in una rete di gruppi locali di uomini più ampia e preesistente. I membri dell’Associazione sono impegnati da anni in riflessioni e pratiche di ridefinizione della identità maschile, plurale e critica verso il modello patriarcale, anche in relazione positiva con il movimento delle donne.
L’idea è nata con la pubblicazione di un Appello nazionale contro la violenza sulle donne, scritto da alcuni dei promotori nel settembre del 2006 e controfirmato in pochi mesi da migliaia di altri uomini di ogni parte d’Italia.