Ambiente, Siria, America latina al Comitato esecutivo del Cec
27 novembre 2019
Nella riunione del Comitato esecutivo del Consiglio ecumenico delle chiese a Bossey si sono analizzate le aree di crisi del pianeta
È in corso a Bossey, in Svizzera, il Comitato esecutivo del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec). Durante i lavori il Comitato si è espresso su alcune delle crisi e delle criticità che attraversano il pianeta.
Ha espresso profonda preoccupazione per le eccezionali crisi in America Latina. «Tra le altre situazioni di preoccupazione, il Brasile sta affrontando una complessa crisi di polarizzazione politica e sociale, che colpisce lo stato di diritto, i diritti umani e la protezione ambientale e diminuisce lo spazio di azione della società civile, mentre Cile, Bolivia, Ecuador, Venezuela, Paraguay, Perù e Argentina hanno vissuto proteste di massa e crisi politiche che hanno scosso i loro governi, economie e società», si legge nella nota. «In alcuni casi, come in Cile, Bolivia, Venezuela, Nicaragua e Colombia, le proteste popolari hanno provocato violenti scontri e morti».
Il Cec invita i governi dell’America Latina a «sostenere e rafforzare le istituzioni della democrazia e dello stato di diritto, nonché a proteggere lo spazio politico della società civile» e ad «ascoltare la voce dei cittadini».
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Il Comitato esecutivo ha dedicato la sua attenzione e le sue preghiere per la fine del conflitto e per la pace in Siria, dopo oltre otto tragici anni di morte, distruzione e sfollamenti. «Il Cec è gravemente preoccupato per il continuo impatto umanitario su tutta la popolazione della regione», si legge nella dichiarazione. «In questo contesto di nuova violenza e sconvolgimento, insieme ad altre comunità nell’area, anche le comunità cristiane stanno soffrendo». Il Cec chiede la fine del conflitto, «nella regione nord-orientale, a Idlib e in tutto il paese, in modo che il processo di riconciliazione e ricostruzione di un paese e di una società in frantumi possa finalmente procedere». Nella dichiarazione ci si sofferma sul lavoro del Cec «per promuovere e facilitare il dialogo e la solidarietà reciproca tra i rappresentanti di diversi settori della società siriana e per promuovere la pace, la giustizia e la parità di diritti per tutti i siriani».
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Il Comitato Esecutivo è poi intervenuto sulla crisi climatica analizzando come questa sia il risultato di peccati ecologici e sollecitando le nazioni ricche ad aumentare gli impegni per fornire finanziamenti climatici sufficienti alle nazioni a basso reddito. Il tempo di agire sta rapidamente passando, continua la dichiarazione. «Saremo tutti tenuti a rendere conto della nostra inazione e della nostra disastrosa gestione di questo pianeta prezioso e unico». «Bambini, giovani e cittadini comuni hanno reso pubblica la dimostrazione del loro oltraggio per la mancanza di un’adeguata risposta da parte dei governi alla gravità di questa crisi globale, e contro la retrocessione di alcuni governi», si legge nella nota. «Il tempo per il dibattito e la contestazione di fatti scientifici consolidati è passato da molto tempo».
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Sul 30° anniversario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia (Crc) ha ribadito l’impegno delle Chiese nei confronti dei bambini, e come queste abbiano fornito al movimento ecumenico un nuovo quadro per l’azione per i diritti e il benessere dei bambini, invitando le chiese a «assumere il proprio ruolo nel garantire l’intera molteplicità di obblighi contenuti nella Crc».
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Il Comitato esecutivo esorta infine a porre fine all’apolidia in modo che le persone non vivano più in una situazione di limbo legale. «I bambini costituiscono oltre un terzo della popolazione apolide globale e nei paesi con le 20 più grandi popolazioni apolidi, ogni anno nascono circa 70.000 bambini apolidi», si legge nella dichiarazione. «I rischi di apolidia sono spesso aumentati nel contesto dello sfollamento forzato e della migrazione».
La dichiarazione esprime preoccupazione per un aumento delle narrazioni e politiche etno-nazionaliste, razziste e xenofobe a livello globale. «La storia ha dimostrato che in diverse occasioni e in diversi luoghi gli stati hanno utilizzato l’accesso alla cittadinanza e la privazione della nazionalità come strumento discriminatorio per opprimere intere comunità in base alla loro discendenza, colore, etnia o religione». Non viene fatto abbastanza per eliminare questa minaccia ai diritti umani e alla dignità, osserva la nota.
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