Una svolta verde all’orizzonte?
01 agosto 2019
La Banca europea degli investimenti ha svelato la sua strategia: a partire dal 2020 niente più finanziamenti alle energie da fonti non rinnovabili
La Bei, la Banca europea per gli investimenti, ha deciso di lanciare un messaggio chiaro: dal 2020 addio ai finanziamenti verso progetti che riguardano i combustibili fossili. La nuova strategia dell’istituzione finanziaria pubblica dell’Unione europea, contenuta in una bozzapresentata venerdì 26 luglio, guarda completamente alle energie da fonti rinnovabili e sulle nuove tecnologie in grado di accelerare la decarbonizzazione.
L’obiettivo, si legge nel documento, è quindi quello di mettere al bando entro la fine del prossimo anno i finanziamenti oggi destinati alla «produzione di petrolio e gas, a infrastrutture principalmente dedicate al gas naturale, alla produzione di energia o calore basato su combustibili fossili».
Pur riconoscendo che i combustibili tradizionali continueranno ad avere un ruolo nei prossimi anni e che passare dal carbone al gas naturale può comunque contribuire a ridurre le emissioni inquinanti, la Banca europea per gli investimenti ha quindi annunciato la volontà di dedicare tutte le sue capacità finanziarie alle iniziative necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile nel campo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica. Si tratta di una svolta netta nell’azione di un’istituzione che nel solo 2018 aveva investito più di 2,4 miliardi di euro nel settore, buona parte di questi per finanziare il gasdotto Tap, Trans-Adriatic Pipeline, tra Albania e Italia (1,5 miliardi), pari a circa il 5% dei suoi investimenti generali.
Quella espressa nella strategia «è una dicitura abbastanza completa – spiega Elena Gerebizza, tra i fondatori dell’associazione Re:common, che conduce inchieste e campagne contro la corruzione, lo sfruttamento e la distruzione di territori in Italia in Europa e nel mondo – che sembra segnare una direzione chiara per la banca. È una decisione anche di una certa portata perché è la prima banca multilaterale, quindi la prima banca pubblica multilaterale a prendere una decisione di questo tipo».
Tuttavia, questa strategia non è ancora definitiva. «A settembre – continua – verrà rivista dai direttori esecutivi della banca stessa, che sono i rappresentanti delegati dai ministeri dell’Economia e delle Finanze, nel caso dell’Italia il Dipartimento del Tesoro, che dovranno quindi dare un loro via libera al testo. Questo sembra essere un momento abbastanza centrale, perché in molti temono che potrebbero essere i governi a cercare di intervenire e quindi rendere molto meno forte il contenuto di questa policy». Le risorse della Banca, infatti, sono costituite in larga parte dal capitale sottoscritto dagli Stati membri; di conseguenza il consiglio stabilisce le linee guida della politica del credito, approva i conti e il bilancio annuali e decide sulle azioni al verso Paesi terzi.
In particolare, ci si attende qualche resistenza da parte di Stati che ancora dipendono in larga misura dalla produzione e dall’utilizzo di risorse fossili, come la Polonia, in forte crescita e quindi probabilmente poco disponibile ad affrontare sin da subito la transizione energetica. Anche l’Italia potrebbe mettere dei freni a questa strategia, soprattutto per via del tentativo del nostro Paese di diventare una porta d’ingresso fondamentale per il gas asiatico attraverso il Tap. «Ovviamente – chiarisce Elena Gerebizza – il settore che verrebbe colpito di più è quello delle grandi multinazionali del petrolio e del gas, ma anche del carbone. È un’industria che si sta comunque riorganizzando, c’è tutta una parte cosiddetta “green” che sta cercando di vedere se stessa dopo il 2020, o comunque dopo il 2030, sta cercando una strada per rigenerarsi con un’etichetta “verde” che quindi sia accettata da tutti, con un messaggio molto forte di riduzione delle emissioni, ma di fatto senza una rivoluzione. La Bei è un’istituzione che gioca un ruolo fondamentale nel favorire un passaggio necessario, ma non necessariamente sarà quel passaggio radicale che buona parte della popolazione italiana, pensiamo soprattutto ai più giovani, vorrebbe, e che anche l’accordo di Parigi tentava di instradare».