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Il caso Kaufmann

Nel romanzo di Giovanni Grasso, la vicenda del primo ebreo condannato per inquinamento razziale a Norimberga, e di come le frustrazioni e la meschinità delle persone alimentarono la macchina della morte nazista

«Mia moglie Martha per un certo periodo ha allevato dei canarini. Ce n’era uno, in particolare, a cui era molto affezionata: era bello, forte, socievole: il signore indiscusso della piccola comunità di volatili […] Ma un giorno si ammalò molto gravemente, perse la sua baldanza, e gli altri uccelli, mentre si spegneva, facevano a gara nello scacciarlo e beccarlo. E ricordo come il più accanito, tra questi, fosse uno dei suoi figli…».

Con questo ricordo Lehmann Kaufmann, detto Leo, descrive il mutamento della sua condizione, da professionista benestante e rispettato a “feccia ebraica”, condannato per “inquinamento razziale” con l’accusa di avere avuto rapporti di natura sessuale con una giovanissima ariana, Irene Seidel.

Poco importa se non ci sono prove, se il tutto si esaurisce in “si dice” e i testimoni chiave sono la portinaia di Kaufmann, incattivita da quelle leggi razziali che hanno costretto il suo padrone a licenziarla (perché un ebreo non può avere dipendenti ariani); o un vicino di casa, piccolo delinquente nazista che vive di espedienti, invidioso della posizione economica di Kaufmann ma soprattutto respinto nelle sue volgari avance da Irene.

Partendo da un fatto di cronaca realmente accaduto, ma tutto sommato marginale nel complesso della mostruosa operazione nazista (il processo e la condanna si consumano fra il 1940 e il 1941, quando molti orrori non sono ancora stati compiuti), Giovanni Grasso, giornalista e saggista autore di documentari storici e biografie, attualmente consigliere del presidente della Repubblica per la stampa e la comunicazione, con uno stile limpido e preciso, come si confa alla ricostruzione di una vicenda processuale, ci porta nel cuore di un meccanismo spietato e disumano.

La vicenda si consuma nella città simbolo di Norimberga, dall’avvento delle leggi razziali che ne prendono il nome, nel 1935, al cosiddetto terzo processo di Norimberga del 1947 (da cui Stanley Kramer trasse il suo film Vincitori e vinti, con Judy Garland nei panni di Irene), che esamina crimini “minori” arrivando a pene piuttosto blande.

In mezzo c’è il dramma umano, che l’autore arricchisce di risvolti psicologici e sentimentali rispetto alla vicenda reale, di un uomo già anziano nella cui vita irrompe una giovane, anticonformista e indipendente, figlia di un suo caro amico d’infanzia. Tra i due il legame, prima filiale, si fa sempre più intenso, ed essi trovano conforto l’uno nell’altra dalle rispettive e profonde solitudini (lui progressivamente escluso dalla società a causa delle leggi razziali, lei troppo autonoma e diffidente per stringere amicizie). Non fossero stati “quei tempi”, l’esito avrebbe potuto essere molto diverso, persino positivo; ma sono “quei tempi”, e con il procedere della storia il cappio si stringe inesorabilmente intorno al collo di Leo e, di conseguenza, anche di Irene, senza che loro ne abbiano coscienza. Per troppa leggerezza e ingenuità, appunto perché convinti di non avere niente da nascondere, i due lasciano dietro di sé una manna di indizi (le visite reciproche, le passeggiate sottobraccio, le cene al ristorante…) che l’orda di avvoltoi raccoglie avidamente e potrà usare contro di loro, grazie all’intervento della macchina della morte nazista.

L’ebreo va punito perché ebreo, a prescindere dal fatto che abbia compiuto o meno il crimine per cui viene accusato. Questa in sintesi la motivazione del giudice del Tribunale speciale che firmerà la condanna, contro ogni logica e nonostante il giudice per le indagini preliminari del Tribunale “ordinario” ne avesse constatato l’innocenza. Con un capovolgimento di qualunque legge (anche quella del regime) Rothenberger vuole comminare all’ebreo una pena esemplare: in quanto ebreo, Kaufmann è per sua natura un parassita e un traditore. «Il Popolo […] lo ha già giudicato colpevole […] è il Popolo e non la legge che deve avere la prevalenza».

E in queste parole (che danno i brividi anche oggi) sta la radice di tutto: date a un gruppo di persone frustrate, ignoranti e incattivite da una crisi economica, sociale e politica pesante, un nemico da odiare e in cui identificare la causa dei loro mali, legittimate ogni bassezza, e vedrete che faranno a pezzi, senza pensarci due volte, la persona più mite e corretta del mondo.

 

* Giovanni Grasso, Il caso Kaufmann, Milano, Rizzoli, 2019.

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