Usa, a rischio un pezzo di storia
07 novembre 2018
Le dichiarazioni del presidente Trump sulla sua intenzione di abolire la «Birthright Citizenship» vanno contro la logica che permetteva a chiunque di essere cittadino o cittadina degli Stati Uniti
All’ inizio del Novecento il filosofo George Santayana scrisse: «Coloro che non ricordano il passato sono condannato a ripeterlo». Oggi un osservatore dell’attuale situazione politica negli Stati Uniti potrebbe commentare: «Chi ignora il passato riesce a trarre un vantaggio politico, almeno nel breve termine», pensando alle uscite sfrenate del presidente Trump mirate a negare o offuscare una miriade di fatti indiscutibili nella storia americana.
L’esempio più recente di questa tattica è la sua posizione sulla Birthright Citizenship, ovvero lo ius soli, un principio antico che trovava un’espressione specifica nel «nuovo mondo» con il 14° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, votato nel 1868. I senatori dagli stati del Nord volevano cancellare per sempre la vergognosa sentenza emessa dalla Corte Suprema nel 1857 sul caso «Dred Scott vs. Stati Uniti». Quella sentenza dichiarava che i figli di schiavi non erano cittadini ma proprietà del padrone. Dopo la sanguinosa guerra dal 1861 a 1865, molti negli stati del Nord, avendo perso amici, fratelli e figli nel conflitto contro il «potere schiavista», erano determinati a stabilire il principio chiaramente annunciato nell’emendamento: «Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti (…) sono cittadini degli Stati Uniti e dello stato in cui risiedono».
Purtroppo, una certa corrente di razzismo nell’anima americana non è stata sconfitta per sempre nel 1868 – e chiaramente non lo è ancora. Verso la fine del Novecento, spinto dalla paura di un’incursione irrefrenabile di poveri immigranti dalla Cina, qualcuno ha messo in dubbio che Wong Kim Ark, nato a San Francisco figlio da genitori cinesi, fosse cittadino americano. La Corte Suprema ha detto di sì, lo era, citando, e così riconfermando, il 14° emendamento.
Nella storia del paese, il principio della Birthright Citizenship ha facilitato l’inclusione da milioni di famiglie di immigranti. Nel corso del tempo i genitori provenienti da altri paesi erano animati dall’orgoglio che il loro figlio o la loro figlia, cittadini e cittadine americani, avessero la possibilità di creare una vita dignitosa per se stessi e i loro discendenti.
Il 30 ottobre scorso, una settimana prima delle elezioni al Congresso, Trump ha dichiarato in un’intervista la sua intenzione di cancellare una parte della Costituzione con un semplice decreto esecutivo. In seguito, più volte ha ripetuto questa strana posizione, tramite Twitter e nei suoi frenetici comizi: palese tentativo del Presidente di presentarsi alla sua base come forte, indomabile, onnipotente e pronto a difendere il suo elettorato dai pericoli di un’invasione di stranieri con la pelle nera o marrone, malviventi intenti a rovinare la nazione. Ovvie anche altre motivazioni sue, visto che le elezioni «di medio termine» rischiano di mettere in pericolo non solo il potere del suo partito ma anche la sua posizione di fronte alle accuse in preparazione da Procuratore Speciale, Robert Mueller.
Chi legge questo settimanale saprà già gli esiti delle elezioni del 6 novembre e potrà anche giudicare il successo o meno del tentativo presidenziale di ignorare la storia e la tradizione del suo paese in merito alla questione Birthright Citizenship (il voto si è concluso con un sostanziale pareggio, risultato non negativo per un presidente in carica, se è vero che anche Reagan ad esempio perse entrambe le elezioni di medio termine, Ndr) . Ma toccherà alle generazioni successive valutare l’impatto sulla politica e sulla società americana della tendenza di questo presidente a ignorare o falsare la storia del paese per ottenere benefici personali nel breve termine. Al momento, non sembra possibile calcolare l’entità dei danni futuri.