Costruire ponti di pace
05 giugno 2018
Verso la conclusione la XV assemblea generale della Conferenza delle chiese europee. Il francese Christian Krieger eletto nuovo presidente
Ponti che uniscono genti e culture. Ponti che sono simbolo di incontro e dialogo contro i troppi muri, reali e mentali, costruiti negli ultimi anni in Europa.
La XV assemblea generale della Kek, la Conferenza di chiese europee, organizzazione che raggruppa 120 chiese nel vecchio continente, cui sommare oltre 40 fra consigli nazionali di chiese e organizzazioni connesse, si è sviluppata intorno a questa dicotomia. La cittadina serba di Novi Sad che ha ospitato la settimana di lavori degli oltre 400 delegati è in qualche modo simbolo degli esiti tremendi che derivano dall’odio e dall’incomunicabilità: i resti dei ponti sul Danubio abbattuti due volte, nel 1999 ai tempi della guerra fratricida con il Kosovo, e mezzo secolo prima dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, ricordano quanto sia alto il rischio di ricadere in incubi che parevano accantonati per sempre. La preghiera ecumenica sul grande fiume seguita dalla posa di 4 alberi è stata certamente fra i momenti più significativi ed evocativi a tal proposito.
Così come lo sono state le parole dell’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, la massima autorità spirituale dell’anglicanesimo mondiale, nel ribadire che «la paura è il più grande pericolo che affligge la testimonianza e la presenza cristiana. È la paura dell'altro che ci porta ad innalzare barriere, tra le nazioni ma anche all'interno delle chiese. È la paura dell'altro che ci fa costruire muri, sia spirituali che fisici. È la paura dell'altro che porta alle divisioni e alla fine alla caduta delle civiltà».
Ma le chiese non devono smettere mai di essere costruttori di ponti, come ha ricordato nel suo discorso di commiato il presidente uscente della Kek, il reverendo Christopher Hill: «La Kek crede nella riconciliazione, nella riconciliazione tra diversi sistemi politici e tra culture estranee. E oggi ciò include la complessità e l'opportunità non solo di un'Europa ecumenica, ma anche di un'Europa interreligiosa, a contatto con tutti i nuovi stimoli che il mondo presenta. Dal 1959 la Kek ha sempre cercato di essere uno strumento in mano alle chiese e ai popoli per ristabilire dialogo e giustizia, prima negli anni della guerra fredda e ora di fronte a milioni di persone che bussano alle nostre porte dall’Africa e dal Medio Oriente. L’ospitalità è la vera sfida del nuovo millennio».
Ospitalità che ritorna nello studio biblico, condotto dal pastore Luca Maria Negro, presidente della Fcei, a partire dal passo di Genesi 18, 1-8: «l’Europa oggi tende a dimenticare, a negare ospitalità a chi è straniero, mentre Abramo e Sara hanno mostrato quanto la gioia del Signore possa ricompensare la capacità di aprire le proprie porte. La filoxenia di Abramo che porta all’incontro con Dio e alla benedizione, si contrappone alla xenofobia degli abitanti di Sodoma che minacciano gli stessi stranieri accolti dal patriarca, attirando su di sé la maledizione».
Dunque testimonianza, giustizia, ospitalità sono stati i tre cardini attorno ai quali hanno ragionato e discusso i delegati: dall’Italia erano presenti il pastore metodista Peter Ciaccio, Edouard Kibongui rappresentante dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi) e membro uscente del Comitato direttivo della Kek, il pastore luterano Urs Michalke, la pastora valdese Letizia Tomassone e il pastore Luca Baratto in rappresentanza della Fcei.
Il posto del reverendo anglicano Hill viene ora preso per 5 anni dal pastore francese Christian Krieger, attuale presidente della Chiesa protestante riformata di Alsazia e Lorena e vice presidente della Federazione protestante di Francia, che è risultato il più votato dall’assemblea a Novi Sad.
La grande sfida per l’Europa in questi anni è quella dell’accoglienza, ce lo ricordano le cronache ogni giorno, e il tema dei rifugiati è stato certamente centrale in ogni intervento e in ogni tavola rotonda organizzata.
«La pace e la tranquillità dell’Europa però comincia in Medio Oriente», ha affermato l’archimandrita Alexi Chehadeh, direttore del Dipartimento di relazione ecumeniche e di sviluppo del Patriarcato greco ortodosso di Antiochia, che opera come Ong con base a Damasco, mentre il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, impossibilitato a esser presente e il cui intervento è stato letto dal metropolita Emmanuel di Francia, già presidente della Kek, nel rimarcare gli sforzi messi in atto dalle chiese ha ribadito con forza che «i cristiani d’oriente devono rimanere nelle loro terre, a questo tutti dobbiamo tendere. Per far ciò bisogna difendere tutte le popolazioni del Medio Oriente, e lavorare per una reale riconciliazione che deve avere luogo laddove questi conflitti hanno avuto inizio. Le divisioni smorzano le nostre azioni; per questo istituzioni come la Kek sono importanti per cercare l’unità e testimoniare con forza e con voce unica l’evangelo. Ognuno deve dare il proprio contributo». L’assemblea della Kek ha accolto al suo interno due nuovi membri: la Federazione battista europea e la Chiesa episcopale scozzese. «La Chiesa attraversa confini e frontiere come se non esistessero. Quella di Cristo è una famiglia che si estende in tutto il mondo e attraversa frontiere culturali, linguistiche ed ecumeniche, guidata dallo Spirito che abbatte tutti i muri che cerchiamo di erigere» sono le parole a suggello ancora dell’arcivescovo di Canterbury. Il Padre Nostro recitato ad alta voce in tutte le lingue dell’Europa ne è stata plastica e emozionante testimonianza.