Cristiani ed ebrei britannici festeggiano 75 anni insieme
25 ottobre 2017
La più antica organizzazione interreligiosa del Regno Unito nasceva nel pieno della guerra per combattere l’antisemitismo
Il 1 ottobre 1942, nel pieno della seconda guerra mondiale, il Times pubblicava la notizia della fondazione del Consiglio ebraico-cristiano (Council of Christians and Jews - Ccj), per iniziativa dell’arcivescovo di Canterbury William Temple e del rabbino capo delle Congregazioni ebraiche dell’impero britannico, Joseph Hertz, insieme ad altri leader cristiani quali il moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, il moderatore del Consiglio federale delle chiese libere (che riunisce diverse chiese che non fanno parte della chiesa anglicana, tra cui metodisti, battisti, chiesa riformata unita e altre, nato due anni prima, nel 1940).
Nasceva quindi, in un momento particolarmente difficile per l’Europa intera e proprio in contrasto all’ideologia nazista, la più antica organizzazione interreligiosa del Regno Unito.
Il Ccj, patrocinato dalla regina Elisabetta, si occupa ancora oggi di combattere l’antisemitismo e ogni forma di pregiudizio e intolleranza, religiosa e razziale, promuovendo la conoscenza reciproca e scambi e attività comuni ad esempio fra le organizzazioni giovanili.
Nella dichiarazione che presentava il Ccj, riportata dal quotidiano inglese, si ricordava l’azione che la Germania stava tentando per «distruggere quei valori tradizionali, religiosi e spirituali, nei quali riconosce i suoi nemici più pericolosi. L’evolversi della guerra vede una costante intensificazione di questi tentativi, e le conquiste tedesche hanno enormemente ampliato l’area in cui queste politiche possono essere applicate».
A proposito dell’antisemitismo, «che ripugna i principi morali comuni al cristianesimo e all’ebraismo, […] non possiamo ignorare gli effetti della spietata propagazione di questo male nel mondo […] la negazione dei soli valori su cui crediamo si possa stabilire un mondo nuovo e migliore».
A 75 anni da quel momento che gettava un po’ di luce in una situazione terribile, lo scorso martedì 17 ottobre alla S. John’s Wood Synagogue di Londra, l’arcivescovo di Dublino, Michael Jackson, ha rivolto un messaggio che è stato riportato dal servizio stampa della Comunione anglicana (Acns), così come la notizia di questo rilevante anniversario, che apre un anno di celebrazioni incentrate sul Salmo 133, «com’è bello e piacevole che i fratelli vivano insieme».
Il suo discorso è stato improntato soprattutto sul tema dell’«incontro con l’altro», un tema di grande attualità, che richiede «il rispetto per l’altro», perché persone di fedi diverse possano realmente incontrarsi. Pensando alla situazione attuale, alle migrazioni che stanno modificando il profilo della società europea e il modo di percepire persone di culture diverse, di rapportarsi con loro, Jackson ha osservato che «lo spazio pubblico ancora una volta viene messo in discussione, in modi che sono fin troppo familiari al popolo ebraico».
Eppure, ha continuato l’arcivescovo, sebbene sia facile accusare i mass media e soprattutto i social di veicolare una perdita di rispetto per la dignità umana, «la demonizzazione e lo svilimento dell’altro sono un istinto umano primordiale».
Il popolo ebraico è stato storicamente uno dei bersagli più frequenti di questa denigrazione, ma non è stato il solo, ha ricordato Jackson citando il popolo armeno, colpito all’inizio del Novecento da un’azione di sterminio a lungo minimizzato.
Tutto questo rende ancora più fondamentale «l’incontro, una narrazione corretta e veritiera da parte di tutti noi […] rendere possibile il dialogo tra la vita e le idee, in un modo rispettoso delle diverse esperienze» e superando le distorsioni delle ideologie che ci circondano. In tre ambiti in particolare, ha concluso Jackson, dobbiamo imparare molto dalla tradizione ebraica: creazione ed ecologia, giustizia, memoria e storia.