«Siete pregati di tenere accesi i vostri cellulari…». Un invito del genere non si sente spesso: di solito si chiede di spegnere i cellulari per evitare che suonerie più o meno moleste possano disturbare lo svolgimento di un concerto, uno spettacolo teatrale, e ovviamente di un culto.
E invece è proprio all’inizio di un culto che si sente questo invito, da parte del pastore: tenete accesi i vostri telefoni, e usateli!
Siamo nella chiesa protestante di Heimsheim, piccola cittadina (poco più di 5000 abitanti, 2300 i membri della chiesa) del Baden-Württemberg, vicino a Stoccarda, dove il pastore Christian Tsalos ha adottato una serie di iniziative tecnologiche.
La più elaborata è senza dubbio il culto multimediale e interattivo: andando sul sito Internet si può infatti seguire, già dal giorno prima, l’ordine del culto, le preghiere, gli inni previsti e il testo della predicazione, ma non solo: sono messi a disposizione dei fedeli link con ulteriori approfondimenti, grafici, immagini. Per facilitare la fruizione di Internet durante il culto, il Comune ha installato nella chiesa un wi-fi dedicato.
Questa non è però l’unica innovazione introdotta dal pastore, e forse nemmeno quella potenzialmente più dibattuta: di certo lo è meno della cura pastorale tramite WhatsApp, una pratica ormai in uso da più di un anno. I parrocchiani di Heimsheim la usano per mettersi in contatto con il pastore in modo più facile: per questioni pratiche come chiedere un appuntamento, prenotare gli spazi ecclesiastici, mettere un annuncio in bacheca, ma anche per porre al pastore questioni di contenuto, ad esempio come comportarsi in caso di diverbio con un altro membro della comunità.
L’idea è venuta al pastore da una considerazione basilare: come comunicano oggi le persone? La risposta è sotto gli occhi di tutti, anzi nelle mani di tutti. Christian Tsalos è convinto che la chiesa debba adattarsi, almeno in linea di principio, ai tempi in cui vive: sfruttare le grandi possibilità offerte dai moderni mezzi di comunicazione, pur senza diventarne schiava. Il pastore stesso confessa di lasciare sempre in ufficio il cellulare dedicato a WhatsApp (il suo cellulare è infatti un altro), e dice di non avere ricevuto critiche rispetto a questa nuova modalità di comunicazione: la gente è abbastanza matura per saperla usare in modo sensato.
Non è la prima volta che in una chiesa tedesca si usano le tecnologie per favorire la fruizione del culto, e anche altrove si moltiplicano le iniziative: terminerà fra pochi giorni, il 20 ottobre, una iniziativa della Federazione delle chiese protestanti svizzere (Feps) partita il 25 settembre e realizzata nel quadro delle iniziative per il cinquecentenario della Riforma protestante che, com’è noto, grazie ai nuovi mass media dell’epoca (l’invenzione della stampa) poté diffondersi in tutta Europa con un’ampiezza insperabile prima di allora. Questa iniziativa, intitolata «Credere e twittarlo» consiste nel diffondere attraverso i principali social media (Facebook e per l’appunto Twitter) alcuni brevi messaggi di fede. Un modo per riflettere sulla propria fede, formularla in 140 caratteri (o poco più), e condividerla con il mondo.
Saranno queste le soluzioni per recuperare la pesante perdita di membri delle chiese tradizionali?
Se lo chiedeva alcuni mesi fa Andrea Syverson, giornalista dell’agenzia stampa americana Religious News Service in un articolo intitolato «Può Facebook sostituire le chiese?» (qui la versione in francese pubblicata da Protestinfo) osservando che sempre più persone da un lato leggono la Bibbia, ascoltano i culti in podcast e conoscono a memoria inni e canti religiosi, dall’altro disertano le chiese. La maggior parte di queste ultime, accusa Syverson, continua a seguire le proprie abitudini sperando in un “ritorno all’ovile”, che non avviene quasi mai. «Se le chiese non capiscono come creare le comunità che queste persone stanno cercando, qualcun altro, come Facebook, lo farà al loro posto», dice.
Ovviamente non tutti cercano la propria comunità su Facebook, quello che sembra esserci in tutti è un bisogno di «comunità», di un luogo dove parlare apertamente, e di «profondità», nelle relazioni, nell’analisi delle questioni. All’apparenza, il contrario di ciò che l’uso dei social sembra suggerire. Ma quali sono dunque i luoghi dove trovare tutto ciò? E, si chiede Syverson: «Potrebbe essere questa la nuova Riforma?».