Il 7 luglio scorso le Nazioni Unite hanno formalmente adottato un trattato che proibisce l’uso e la minaccia tramite le armi nucleari, uniche armi di distruzione di massa a non avere avuto finora un documento che le vieti. Setsuko Thurlow (bambina giapponese nell’agosto 1945, quando due bombe atomiche colpirono Hiroshima e Nagasaki ) ha commentato: «attendevo questo giorno da 70 anni e non speravo più di vederlo con i miei occhi». La prima risoluzione dell’Assemblea generale su questo tema, già nel gennaio del 1946, a pochi mesi dalle tragedie che posero fine alla seconda guerra mondiale, poneva l’obiettivo di «eliminare gli ordigni nucleari dagli armamenti nazionali».
Ora il Trattato c’è: si tratta di uno strumento internazionale legalmente vincolante che, per la prima volta nella storia, dichiara fuori legge le armi più distruttive che esistano, le uniche armi di distruzione di massa non ancora messe al bando. È stato approvato da 122 Paesi (un astenuto, Singapore, e un voto contrario, l’Olanda). Condizione necessaria ma non sufficiente in quanto le potenze nucleari – Stati Uniti d’America, Russia, Francia, Israele, Gran Bretagna, Cina, India, Pakistan e Corea del Nord – e i Paesi della Nato non hanno aderito o hanno partecipato ai negoziati definendone gli obiettivi «ingenui e irraggiungibili». Anche l’Italia ha scelto di non partecipare ai lavori e alla votazione finale nonché il Giappone, nonostante i numerosi appelli provenienti dai sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki. In Italia associazioni, movimenti, singole chiese si sono riunite in un cartello lanciando la campagna Italia ripensaci perché tutti gli Stati, a partire dall’Italia, ratifichino il Trattato, convinti che un cambiamento rivoluzionario nella coscienza dei singoli, diffondendosi in tutto il mondo, costituisca l’unica forza sufficientemente profonda e radicale in grado di porre fine all’era nucleare.
Nel nostro Paese le chiese possono giocare un ruolo decisivo dando una spinta dal basso al riconoscimento del primato dell’umanità, curando l’informazione, facendo pressione sugli Enti locali, chiedendo ai singoli di coinvolgersi in prima persona nell’ambizioso compito di costruire la pace, di essere quotidianamente artigiani della pace.
Per fare la pace con strumenti di pace ci vuole lungimiranza e coraggio. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro , sì al dialogo, sì al negoziato, sì al rispetto dei patti, sì alla sincerità. E d’altra parte, oggi più che mai, non abbiamo scelta. John Fitzgerald Kennedy ricordava che «L’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità. Le armi di guerra devono essere eliminate prima che esse eliminino noi. Così si rivolgeva all’Onu nel settembre 1961 un anno prima della crisi di Cuba quando l’orologio dell’apocalisse* fu vicino alla mezzanotte solo di una manciata di secondi. Oggi, dopo spostamenti in avanti o indietro, siamo a poco meno di due minuti dalla possibilità, nelle mani dell’uomo, di azzerare la vita sul pianeta o su larga parte di esso. Il compito a ciascuna e ciascuno di noi riportare indietro le sue lancette.
* L’orologio dell’apocalisse è un orologio simbolico creato dagli scienziati del «Bulletin of the Atomic Scientists» dell’Università di Chicago nel 1947. Simboleggia l’urgenza della problematica relativa all’esistenza di ordigni nucleari capaci di mettere letteralmente fine alla specie umana. La mezzanotte di tale orologio simboleggia la fine del mondo causata da una guerra atomica.