Ieri le Nazioni Unite hanno ratificato la prima messa al bando delle armi nucleari nella storia. Il testo che proibisce a livello globale l’uso, la minaccia d’uso, lo sviluppo, la produzione di testate atomiche era già stato approvato lo scorso 7 luglio da 122 nazioni, e da ieri sono ufficialmente aperte le firme. I paesi in possesso delle circa 15 mila armi nucleari del pianeta (Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Cina, Francia, India, Pakistan, Corea del Nord e Israele) e i loro alleati invece non firmeranno. Fra questi paesi c’è l’Italia, partner delle nazioni occidentali all’interno della Nato. Nato che ha ufficialmente motivato il proprio no al testo con necessità di sicurezza globale.
Il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) è stato fra i principali soggetti che hanno lavorato negli anni verso l’obiettivo del bando totale delle armi atomiche. A partire dalla sua assemblea del 1983 fino all’ultima nel 2013 in Corea del Sud, in cui un ordine del giorno esplicitamente richiedeva alle Nazioni Unite la stesura di un testo ad hoc. Da qui la soddisfazione del segretario generale del Cec, pastore Olav Fykse Tveit nel vedere «Molte nazioni assumere un ruolo di guida in questo processo di protezione della nostra casa comune, il pianeta Terra. Si tratta di un testo che potenzialmente può salvare la vita a milioni di persone; ecco perché va ratificato in fretta da più paesi possibile».
Testo che è stato boicottato per anni dalle potenze nucleari e dai loro partner. Si pensi che in Italia, che non produce armi nucleari, dal 1963 vi sono almeno 70 le testate atomiche presenti sul territorio, fra le basi Nato di Ghedi e Aviano, su un totale in tutta Europa di circa 180. Non è possibile avere dati e numeri precisi, soprattutto da quando, dal luglio di quest’anno, il governo americano ha deciso di non divulgare più alcuna informazione a proposito, per le solite ragioni di sicurezza. Ospitiamo più armi nucleari rispetto a qualsiasi paese europeo, ma non possiamo saperne nulla.
70 rappresentanti delle principali religioni (fra loro molti statunitensi) hanno a loro volta firmato un testo che recita: «Le nostre rispettive tradizioni religiose difendono il diritto delle persone e di tutti gli esseri viventi di vivere in sicurezza e con dignità. Crediamo nei dettami della coscienza e della giustizia; desideriamo onorare il nostro impegno di proteggere i vulnerabili e di fare da guida per la salvaguardia del pianeta per le generazioni a venire. Le armi nucleari sono del tutto incompatibili con questi valori e questo impegno, e manifestano un assoluto disprezzo dei principi dell’umanità. Riconosciamo ed elogiamo il coraggio dimostrato dagli stati presenti alle conferenze, gli sforzi inestimabili dell’Onu e delle altre organizzazioni internazionali, nonché della società civile, che hanno infine portato alla realizzazione di questo trattato. Ora è essenziale che i principi e le norme di questo trattato siano diffusi ampiamente tra i popoli del mondo, al fine di raggiungerne l’adozione e la concretizzazione a livello universale. In qualità di persone di fede, ci assumiamo come nostra particolare responsabilità l’impegno di aumentare la consapevolezza dei rischi e delle conseguenze delle armi nucleari per le generazioni presenti e future e di risvegliare la coscienza pubblica affinché si costituisca un elettorato popolare mondiale a ruolo supporto del trattato, al fine di realizzare e mantenere un mondo libero dalle armi nucleari».
Intanto le organizzazioni Rete italiana per il disarmo e Campagna Senzatomica hanno da mesi lanciato la campagna “Italia Ripensaci!” che vuole sollecitare il governo ha rivedere la posizione in merito e a tal fine hanno messo in atto una sottoscrizione simbolica del trattato da parte di organizzazioni, enti locali, associazioni, privati cittadini. Un gesto chiaro per rendere evidente la distanza fra stanze dei bottoni e società civile su questa come su molte altre vicende.