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Restare o diventare bambini? Rifiutarsi di crescere oppure ritrovare da grandi un tesoro che si pensava perduto? Dal 21 al 25 settembre 2017la XIII edizionedi Torino Spiritualità è «Piccolo me», cinque giorni di incontri, dialoghi e spettacoli per riflettere sulla possibilità di ritrovare alcuni aspetti della propria infanzia e scoprire quanto piccolo me vive ancora nel grande me che ogni adulto è diventato.

Il tema, però, propone un’ulteriore questione divenuta sempre più urgente a causa delle cronache drammatiche dei nostri tempi. Che posto rimane per l’infanzia in un mondo in cui il presente e il futuro fanno paura? Come sarà essere bambini in uno scenario che assume i contorni dello scontro di civiltà, dove la religione si lega a doppio filo con politica ed economia e tutto è oscurato dalle lenti dell’intolleranza, del fanatismo, dell’ignoranza e del terrore?

Sabato 23 settembre, alle 21 al Circolo dei lettori, l’incontro “Come crescere e diventare piccoli”: il pastore Stefano Giannatempo presenta il suo libro “L’evangelo secondo il Piccolo Principe” (Claudiana, 2015) e dialoga con il pastore Paolo Ribet e Chiara Lombardi.

Debora Spini, docente di Filosofia politica e sociale alla Syracuse University of Florence e membro della Commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), venerdì 22 settembre alle 18 terrà una lezione presso la Casa valdese di Corso Vittorio Emanuele, 23, dal titolo «Una fede matura».

«Parlare di una fede matura nel quadro del cristianesimo potrebbe sembrare paradossale, tuttavia è necessario – dice a Riforma.it Debora Spini –. Nel Nuovo Testamento vi è un richiamo all’essere un po’ bambini e se si decidesse di non esserlo sarebbe difficile poter “vedere davvero” il Signore. “La fede matura”, per il protestantesimo, è quella fede che, costantemente, ha bisogno di confrontarsi con una dimensione di alterità e di esplicitatasi nella costante interazione con il Testo Biblico. La fede cristiana dunque, nella prospettiva protestante, non è vissuta come un viaggio interiore ma come un dialogo con e verso l’altro, l’altra. L’intersoggettività, infatti, si realizza nel confronto con la parola di Dio; un dialogo che si riflette all’interno della vita più intima e più alta del credente. La “fede matura” è quella fede che si confronta con la scrittura e che indica la strada per rimanere un po' bambini. Il rapporto con la parola di Dio dev’essere un richiamo forte a relativizzare le nostre conquiste e i nostri possibili fallimenti. Al centro del rapporto con Dio c’è la parola di Cristo, la parola che si incarna in Cristo e non la nostra storia privata e personale. La fede è la risposta ad una vocazione e non un esercizio spirituale. Non è il risultato di pratiche ascetiche o di meri esercizi per l’elevazione spirituale. È la riposta ad una voce che ci chiama, ma che non è la nostra».

Dunque si può rimanere un po’ bambini nell’austero ambito del protestantesimo.

«Certo, basta essere disponibili, rimanere aperti allo stupore, alla meraviglia; a farsi trasformare. La fede cristiana può essere articolata su due poli: da un lato attraverso la maturità: nel protestantesimo è molto forte l’idea che il credente o la credente si debbano comportare come adulti attraverso la responsabilità individuale e l’esame intimo della Scrittura, di sostenere da soli la capacità di lanciarsi nell’avventura della fede e non farsi guidare necessariamente o farsi tenere per mano dalle autorità spirituali o dalle gerarchie terrene; d’altro canto, però, a questo approccio protestante alla fede, adulto e maturo, dovrebbero essere affiancate le altre dimensioni che ritengo importanti, quelle della fragilità e della vulnerabilità, che sono tipiche dell’infanzia».

Come è possibile declinare questa idea di «fede matura» nell’ambito interculturale e interreligioso?

«Molti sociologi contemporanei ritengono che il fenomeno definito “ritorno alla religione” sia una risposta alla crisi della modernità. Soprattutto alla crisi della soggettività moderna. Stiamo affrontando una profonda crisi del modello moderno di "soggetto" che si trova sempre più in difficoltà e privo orizzonti di senso; dunque una società sempre più schiacciata dal fardello della libertà. La riscoperta della religione, in un certo senso, si presenta come un orizzonte di conforto e, passatemi il termine, un orizzonte terapeutico, una sorta di medicinale, di ansiolitico. Ponendosi spesso come uno strumento utile per rispondere alla sfida della libertà in un mondo tardo moderno».

Il ritorno alla religione può essere una sorta di «tentazione» per le denominazioni cristiane?

«Certamente; però cercherò di proporre al pubblico di Torino Spiritualità un ragionamento inverso: il cristianesimo per essere davvero maturo deve saper proporre domande, senza dare risposte. Dev’essere un'apertura a nuove avventure e non un possibile rimedio alle nostre paure».

C’è più bisogno di religione o di spiritualità oggi?

«Nella religione si ricercano, come dicevo, soluzioni a quelle domande per le quali è difficile, in solitudine, poter trovare le risposte, dunque, chi si avvicina alla religione, spesso cerca quel tipo di sostegno oltre riferimenti etici. Ritengo che la religione possa aiutare i singoli individui alla costruzione del proprio "essere soggetto", altresì per allontanare l'ormai cronica assenza di riferimenti certi. Per questo l’approccio protestante alla “fede matura” è quello di muoversi come una “fede senza religione”. Il cristianesimo protestante non smette mai di porsi delle domande, proprio garzie alla sua apertura all’alterità, e tantomeno intende essere una “gabbia di sostegno”».

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