«Una vittoria per tutte le donne tunisine». Monia Ben Jemia, presidente dell’Associazione tunisina delle donne democratiche non nasconde la soddisfazione il giorno dopo l'annuncio della Presidenza della Repubblica dell’abrogazione delle circolari amministrative che vietano il matrimonio delle donne tunisine con non musulmani.
«E’ anche una vittoria per la libertà di coscienza in Tunisia»- le fa eco Sana Ben Achour, femminista e professoressa di diritto: - «Si tratta di una breccia aperta all’interno della quale altre battaglie andranno condotte. Ma questo è un passo importante».
Il capo di stato Béji Caïd Essebsi ha infatti annunciato di voler giungere alla piena uguaglianza fra donne e uomini e di voler abolire il divieto di matrimonio con non musulmani. Se il primo progetto resta un cantiere aperto, con molte resistenze in varie sacche della società tunisina, sul secondo punto il dibattito è stato rapido e condiviso, più di quanto atteso dagli stessi attivisti.
La decisione pone la Tunisia in prima linea nella difesa dei diritti delle donne nel mondo islamico. Paese che aveva già segnato la strada all’indomani dell’indipendenza del 1956 quando lo stesso “padre della nazione” Habib Bourguiba aveva proibito la poligamia, istituito il divorzio giudiziario al posto del ripudio, fissata un’età minima per i matrimoni (15 anni per le donne, divenuto in seguito 18).
Il matrimonio con un non musulmano è formalmente vietato dal 1973, anno in cui il ministero della Giustizia ha pubblicato un testo che, invocando “la salvaguardia dell’originalità islamica della famiglia tunisina” vietava le unioni miste. Un maschio può invece liberamente sposare una donna non musulmana. Vero che matrimoni celebrati in Francia sono stati in seguito trascritti nei registri tunisini, unica via per aggirare gli impedimenti, ma i casi venivano valutati uno ad uno, e non pochi sono stati i rifiuti, da parte degli ufficiali di stato civile, di riconoscere il matrimonio avvenuto all’estero. Dal 2011 in Tunisia sono state registrate 6200 conversioni senza che sia possibile determinare il numero di quelle dettate da un progetto coniugale. «Si tratta di conversione di convenienza, fatte appunto per sposarsi, senza reali motivazioni altre. Ciò dovrebbe rappresentare un insulto all’islam» prosegue Ben Jemia.
In primavera, un collettivo che raggruppa circa 60 associazioni ha lanciato una mobilitazione per ottenere l’abrogazione della circolare del 1973 perché in contrasto con gli articoli della nuova Costituzione, datata 2014, che rivendica l’uguaglianza fra i sessi e la libertà di coscienza, oltre che contradditoria nei confronti di tutta una serie di convenzioni internazionali ratificate dalla Tunisia.
Il presidente Essebsi tenta in questo modo di consolidare l’immagine riformista che sta proponendo, sulla scia proprio della lezione di Bourguiba. Restano però altri passi da fare, primo fra tutti quello legato alle eredità, che a parità di grado di parentela, vedono le donne per legge ricevere la metà di quanto spetta al parente maschio. A dar credito ai sondaggi, una riforma simile, che avrebbe enormi conseguenze finanziarie negli assetti famigliari, pare dare adito a varie riserve nella società tunisina. Secondo un recente studio l’82% dei tunisini ritiene che il tema sia già trattato dal Corano nei termini del 50% riservato alle donne, e poco altro ci sia dunque da aggiungere. «Anche l’abolizione della pena di morte in Francia è stata impopolare, ma ora è patrimonio della nazione – incalza Ben Jemia. La legge ha anche funzioni pedagogiche nell’aiutare le società a mutare atteggiamenti. E’ un’altra battaglia che inizia e che vinceremo».
A luglio il parlamento di Tunisi ha approvato all’unanimità la legge contro la violenza sulle donne e ha al contempo cancellato la norma sul matrimonio riparatore che consentiva agli uomini colpevoli di stupro di evitare la condanna sposando la vittima della violenza.