Massiccio crollo degli anglicani in Gran Bretagna
05 settembre 2017
Resi pubblici i risultati della British Social Attitudes Survey, indagine condotta annualmente dalla società di ricerca NatCen
In meno di due decenni il numero di anglicani in Gran Bretagna è crollato del 50%. È quanto si evince dall’ultima British Social Attitudes Survey – statistica annuale condotta in Inghilterra dalla società di ricerca NatCen – i cui dati sono stati pubblicati ieri.
Più della metà del pubblico britannico intervistato si descrive come «senza religione»: il 53% rispetto al 48% registrato nel 2015.
La percentuale di non credenti è aumentata gradualmente dal 1983, anno in cui è stata condotta per la prima volta la ricerca: allora la percentuale di coloro che affermavano di non appartenere ad alcuna religione era appena il 31%.
Secondo l’indagine, il declino dell’affiliazione religiosa sta interessando in particolare la Chiesa d’Inghilterra. Solo il 15% dei britannici si considera anglicano: circa la metà di quanti dichiararono di essere anglicani nel 2000.
Il calo si legge alla luce dei decessi dei membri appartenenti alla generazione di baby boomer, che evidentemente la Chiesa d’Inghilterra non riesce a sostituire con membri più giovani. Infatti, solo il 3% di quelli tra i 18 e i 24 anni si è definito anglicano, rispetto al 40% di coloro che hanno 75 anni e oltre.
Le cifre dell’indagine contrastano con i numeri dichiarati dalla Chiesa d’Inghilterra, che parla di circa 50 milioni di aderenti, sebbene meno di un milione si rechi in chiesa la domenica.
Al contrario, la Chiesa cattolica romana rimane relativamente stabile. La percentuale di persone che si descrivono come cattoliche è di circa una persona su 10 negli ultimi 30 anni. Mentre una persona su 20 (il 6%) si dichiara appartenente a religioni non cristiane.
La caduta dell’affiliazione religiosa è legata in parte alla mancata partecipazione dei giovani. Nel 2016, sette giovani su dieci di età compresa tra i 18 e i 24 anni hanno dichiarato di essere senza religione. In realtà tra il 2015 e il 2016 il collasso ha riguardato tutte le fasce d’età, anche se tra i più anziani, quelli che non hanno religione sono in minoranza: 4 persone su 10 tra i 65 e i 74 anni dicono di non avere religione e la percentuale scende al 27% per quelli che hanno 75 anni e oltre.
Secondo Roger Harding, responsabile del Centro Nazionale per la ricerca sociale (NatCen), il calo del numero delle persone che si definiscono senza religione è destinato a non fermarsi a breve termine. Inoltre, un progressivo calo riguarda anche altre confessioni religiose. In particolare Harding afferma che la BSA evidenzia che le persone religiose sono sempre più liberali su questioni come i rapporti tra persone dello stesso sesso e l’aborto: cambiamento sociale che molti leader religiosi stentano a riconoscere e ad affrontare.
L’indagine è stata condotta tra il 13 luglio e il 30 ottobre 2016 su 2.942 intervistati. La domanda posta per determinare l’affiliazione religiosa è stata: «Ti consideri come appartenente a una particolare religione? Se sì: quale?». Agli intervistati non è stato fornito un elenco di religioni.
Commentando i risultati dell’indagine, il vescovo di Liverpool, Paul Bayes, ha detto: «In questo mondo moderno la gente è più disposta ad affermare con onestà di non appartenere a nessuna religione piuttosto che dire a casaccio di essere anglicano. Questa onestà è benvenuta. Naturalmente i dati dell’ultima BSA sono una sfida continua per le Chiese, che devono parlare chiaramente della fede in un mondo scettico e plurale. Ma la dicitura “senza religione” non è la stessa del tradizionale ateismo. Le menti e i cuori delle persone rimangono aperti».
Proseguendo, Bayes ha affermato che «la gente prende in considerazione la fede quando vede la differenza che la fede fa. Quindi, cerchiamo di testimoniare che conoscere Gesù fa la differenza sia a livello personale sia per la società. Credo che mostrando questa differenza, più persone vorranno conoscere l’amore di Dio».
Intanto gli Umanisti del Regno Unito hanno dichiarato che i numeri riportati dall’indagine evidenziano che la Chiesa nazionale si rivolge ormai ad una piccola parte della popolazione. Il calo delle partecipazioni deve interrogare la società inglese sull’influenza che la Chiesa anglicana gioca nel dibattito pubblico e su altri privilegi goduti dalla religione di stato.
Andrew Copson, portavoce degli Umanisti, ha detto: «È giunto il tempo che il Governo accetti la realtà demografica della Gran Bretagna odierna, e riconosca che i crescenti finanziamenti statali per la religione e l’enfasi pubblica sulle attività dei gruppi religiosi non corrispondono a ciò che la società pubblica vuole».