Al ritorno sui banchi fra pochi giorni la Facoltà di teologia dell’università di Ginevra attiverà un nuovo corso di formazione destinato agli imam che lavoreranno su suolo svizzero. La decisione arriva in risposta al dibattito politico e sociale in corso nel paese.
E’ stata la comunità albanese presente a Ginevra a richiedere per prima una formazione istituzionale e continuata per i propri imam, volta a agevolare l’approccio alla società liberale occidentale e ai suoi principi, e al contempo volta a fornire un inquadramento storico-critico dell’islamismo.
«Sono cresciuto in Svizzera, ma non per questo non pratico la mia fede - racconta Djelal Avdil, membro della comunità albanese ginevrina-. Conosco ancora la mia lingua madre, ma i più giovani la usano sempre meno. Potremmo essere l’ultima generazione a mantenere alcune delle nostre tradizioni. Compresa la religione, che pratico a livello personale e che ho imparato a conoscere come un islam che sostiene la tolleranza e l’amore reciproco. Eppure ci sono persone che predicano e propongono una religione così distruttiva, perché succede questo? Dobbiamo dare il massimo di noi stessi per questo paese che ci ha accolo così bene».
A Ginevra le varie comunità musulmane si sono rivolte allo Stato attraverso l’ufficio per l’integrazione degli stranieri che h svolto l’importante ruolo di sensibilizzazione nel promuovere l’integrazione e ha al contempo lottato contro la discriminazione e le conseguenti ghettizzazioni dei nuovi arrivati.
«La questione islam è tema oggi assai sensibile - afferma François Dermange, professore di etica presso la facoltà di Teologia protestante dell’università di Ginevra e responsabile del progetto. Il contesto è teso fra una popolazione che ha paura ed ha frainteso l’islam, in ciò aiutato dai mezzi di comunicazione, e un mondo musulmano che fatica a spiegarsi. Se non vogliamo lasciare la parola solo a queste correnti che tendono a chiudersi dobbiamo dare noi dei mezzi per promuovere altri modi di essere e di apparire».
Molti ritengono che l’islam sia una religione oscura, dimenticando che per molto tempo è stata molto più aperta del cristianesimo, e più o meno tutte le scienze e la filosofia sono arrivate a noi tramite i musulmani - continua il professore -. Ma è anche vero che nella storia le correnti liberali hanno dovuto lasciare spesso spazio a correnti più populistiche. Questa situazione non è inevitabile. La sfida consiste nell’evitare le visioni semplicistiche e politiche dell’islam. Portarla all’università è il modo migliore per ragionare sulla sua complessità. L’analisi storico-critica dei testi consente di non considerarli al pari di verità pre-confezionate». Il corso sarà necessario per quegli imam che avranno un ruolo pubblico così come per i cappellani, ma sarà aperto anche ad un pubblico più ampio.
Un discorso simile è stato avviato anche dall’università teologica di Friburgo, che già ospita un “centro per l’islam e la società” che ha recentemente proposto 25 laboratori cui hanno partecipato oltre 450 fra i referenti di varie associazioni musulmane del territorio. I lavori si sono concentrati sul ruolo delle associazioni come attori sociali e ne affrontano le sfaccettature nelle moderne società secolarizzate occidentali. Sono già attivi molti progetti di ricerca e formazione che si fondano proprio sulla consapevolezza di una società plurale.