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Le chiese preoccupate per l’escalation di violenze a Gerusalemme

Il moderatore Bernardini: «Preghiamo che ci siano ancora uomini e donne di buona volontà, a promuovere la vera pace»

La tensione a Gerusalemme non accenna a diminuire nonostante gli appelli al dialogo provenienti da una moltitudine di istituzioni politiche e religiose.

Le vittime sul fronte israeliano e su quello palestinese crescono, fra attentati e scontri a fuoco, e il mondo ancora una volta osserva impotente. Prima, il 14 luglio, l’attentato alla spianata delle moschee costato la vita a due soldati israeliani, oltre ai tre attentatori; quindi le cinque vittime palestinesi degli scontri legati alle decisione di collocare dei metal detector per controllare l’accesso alla stessa area, a seguito appunto dell’attacco alle milizie israeliane. Infine l’accoltellamento di Ramallah costato la vita a tre coloni. E in mezzo tanti scontri fra chi vede nelle limitazioni un inaccettabile prevaricazione e chi sostiene di agire per l’incolumità della propria gente. Per gli ebrei quello è il luogo in cui sorgeva il tempio di re Salomone nel 957 avanti Cristo e di cui oggi rimane in piedi un muro esterno, il muro del pianto. Per il mondo arabo la spianata è il terzo sito più sacro dell’Islam, laddove il profeta Maometto salì in cielo. Per i cristiani è il luogo in cui Gesù cacciò i mercanti dal tempio. L’accesso è frutto di delicatissimi equilibri che vorrebbero garantire tutte le parti in causa, ma la cui fragilità è drammaticamente chiara in queste ore.

Il Consiglio ecumenico delle chiese ancora una volta, l’ennesima in queste settimane, è obbligato a tornare a far sentire la propria voce in relazione alla precaria situazione in Medio Oriente. Lo fa attraverso una lettera inviata dal suo segretario generale, il pastore Olav Fykse Tveit, ai vertici delle chiese di Gerusalemme.

«Preghiamo e ci rivolgiamo alle parti in causa per stimolarle al dialogo nel tentativo di trovare una soluzione che consenta il libero accesso ai luoghi di culto per tutti i credenti della città e della regione. E’ questo l’unico modo per fermare la violenza e promuovere la convivenza – si legge nella missiva, che continua- Il Consiglio ecumenico delle chiese aveva lanciato l’allarme in relazione a misure volte a pregiudicare l’accesso ai luoghi sacri. Purtroppo la previsione si è rivelata corretta. L’unica soluzione è la rimozione dei metal detector. Invitiamo tutte le chiese membro del Consiglio ecumenico a pregare per la pace a Gerusalemme e in tutta l’area».

Si alza forte anche la voce dei rappresentanti delle chiese cristiane di Gerusalemme, greche ortodosse, copte, luterane, anglicane, ortodosse fra le altre: «Siamo preoccupati per il cambio dello status quo relativo all’accesso alla moschea di al-Aqsa e nella città santa di Gerusalemme. La decisione di mutare i termini di ingresso non farà altro che portare a conseguenze gravi e imprevedibili, che sarebbero ancor più serie nel clima religioso attuale».

Anche il moderatore della Tavola valdese, il pastore Eugenio Bernardini, con un tweet ha voluto rimarcare la necessità di far prevalere la ragione sull’odio: «Terribile quanto è accaduto a Gerusalemme. Preghiamo che ci siano ancora uomini e donne di buona volontà, a promuovere la vera pace».

Nelle ultime ore, come riporta il sito Nev - Notizie Evangeliche, si sono registrate altre reazioni: «Crediamo che la pace sia possibile», hanno scritto i trentatré leader religiosi in USA, membri dell’Azione interreligiosa nazionale di leadership per la pace in Medio Oriente (National Interreligious Leadership Initiative for Peace in the Middle East, NILI), in una lettera indirizzata al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sulla base della loro esperienza e delle loro relazioni con il Consiglio delle Istituzioni religiose della Terra Santa. «Aspettiamo con ansia il tempo opportuno di incontrarci – propongono direttamente a Trump i firmatari – per discutere di come possiamo collaborare come leader delle comunità e delle istituzioni ebraiche, cristiane e musulmane di questo Paese. […] I recenti sondaggi mostrano che la maggioranza dei popoli ancora desidera due Stati. Seguire la soluzione di un solo Stato porterebbe ulteriori anni di violenze […] La realizzazione di una pace giusta fra israeliani e palestinesi avrebbe effetti positivi per entrambi i popoli, per tutto il Medio Oriente, per gli USA e per il mondo intero».

Intanto, Abu Mazen ha sospeso le riunioni di coordinamento di sicurezza tra i funzionari israeliani e palestinesi, prima volta dalla sua presidenza, dopo il congelamento dei contatti sulle nuove misure di sicurezza installate al Monte del Tempio.

Immagine: via Pixabay

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