Un anniversario importante è stato celebrato domenica 18 giugno a Prarostino: i 50 anni dalla costruzione del Faro, un monumento simbolo della Resistenza nel pinerolese, costruito in gran parte con lavoro volontario e materiali donati per ricordare i 600 partigiani dei comuni delle valli pinerolesi caduti nella lotta di Liberazione.
Il Faro, inaugurato il 18 giugno del 1967, venne costruito sul punto più alto della collina di Prarostino, proprio perché fosse visibile dalla maggior parte dei comuni della pianura.
Le celebrazioni del cinquantesimo anniversario del Faro hanno visto la presenza di sindaci, consiglieri comunali, forze dell’ordine, alpini e rappresentanti dell’Anpi, l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani.
«Il Faro – ha detto il portavoce dell’Anpi durante l’evento pubblico – rappresenta la luce della libertà, dell’avvenire, la speranza in un mondo migliore, che ha animato la lotta della resistenza. Stiamo parlando di fatti di più di 70 anni fa, sono passate molte generazioni. Ha ancora senso ricordare questi eventi? E in che modo ricordare momenti di storia che quasi nessuno ha vissuto? La risposta è semplice: non bisogna limitarsi a un ricordo doveroso di ciò che è stato, ma interpretare il presente con i valori ereditati».
Sono stati ricordati anche i 70 anni trascorsi dai lavori dell’Assemblea Costituente e dalla Costituzione stessa, figlia della Resistenza: una sintesi di posizioni culturali, politiche, religiose di quegli anni, nata in una capacità e volontà d’ascolto e di confronto tra le parti che forse viene a mancare in questo momento storico.
Alla manifestazione era presente l’architetto Isola, oggi novantenne, che con il collega Gabetti progettò il monumento 50 anni fa e che ha ricordato il senso della costruzione: «rimasero tutti abbastanza stupiti quando proposi di fare un monumento che si potesse abitare, che fosse un racconto da vivere e sperimentare in prima persona. In effetti nel monumento del Faro si può entrare dentro: la scala, che si inerpica tortuosa e stretta, rappresenta i periodi faticosi della vita. Poi si arriva alla piastra superiore, un belvedere che si affaccia sulla pianura, sul mondo, un punto in cui si può guardare lontano, verso un ipotetico futuro migliore. Utilizzammo le pietre: raccontano bene la resistenza, rappresentano la forza. Ci sembrava che ognuna di queste pietre rappresentasse un personaggio che aveva partecipato alla Resistenza, che aveva osato dire no alla guerra e ribellarsi».
I 46 sindaci del pinerolese, presenti in prima persona o rappresentati da consiglieri comunali, hanno sottoscritto l’atto d’impegno adoperare per sviluppare democrazia e libertà sul territorio.
L’orazione ufficiale è stata tenuta dal professor Gianni Oliva, che ha saputo coniugare storia e attualità in un accorato e coinvolgente discorso: «Il nostro compito attuale è raccontare la storia in un modo meno emotivo e più razionale, riuscire a raccontare i meccanismi che hanno reso possibile certi orrori avvenuti nel passato. La più grande colpa collettiva è sempre il silenzio. L’ignoranza non è condannabile o accusabile. Ma l’indifferenza si, e non siamo vaccinati contro le derive. Il nostro dovere è abbinare il ricordo della storia ad un ragionamento attuale».
Oliva ha ricordato la poesia Se questo è un uomo, di Primo Levi, proponendo di proiettarla verso il futuro: «leggendola tra 50 anni, parafrasandola e riferendola ai bambini che attraversano le frontiere, il Mediterraneo, che arrivano morti sulle nostre spiagge, che "muoiono per un si o per un no", ci si chiederebbe come ha fatto il mondo a stare zitto di fronte a questo scempio, a non dire nulla. Le tragedie che stanno sotto i nostri occhi, che coinvolgono i più innocenti, ci dovrebbero far riflettere. 70 anni fa le persone stettero zitte davanti ai massacri del nazifascismo, oggi invece stiamo troppo zitti noi di fronte a quello che succede: tanto il Mediterraneo è lontano, nessuno di noi abita a Lampedusa e non abitiamo di fianco a un centro profughi. Uniamo il ricordo di chi 70 anni fa si è battuto la per la libertà con la responsabilità e il senso dell’appartenenza civile che dobbiamo avere noi oggi».