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Fra gli effetti collaterali, e di più lungo corso, dell’isolazionismo cui il regime della Nord Corea ha costretto il proprio popolo a partire dal 1953, c’è l’assurdo dramma delle famiglie separate dalla guerra fra le due parti della penisola. Dalla fine del conflitto nell’area, iniziato nel 1950 e durato tre anni, il confine fra il Nord e il Sud, il tristemente celebre 38° parallelo, è divenuto un bastione pressoché insuperabile, che ha diviso per sempre famiglie, amicizie, affetti. 250 km di lunghezza per 4 di larghezza, il confine più militarizzato del mondo, relitto di un mondo diviso in blocchi, i cui rottami però sono ancora causa di dolore per decine di migliaia di persone, che credevano di doversi separare al massimo per qualche giorno, in attesa della ricomposizione di un conflitto che invece, latente, dura ancora oggi.

Negli anni i due governi hanno vietato ogni sorta di contatto fra gli abitanti dei due Stati: lettere, telefonate, fino all’avvento di internet e delle email: tutto proibito, tanto che molte di queste persone non sanno nemmeno più se dall’altra parte i loro amici e parenti siano ancora vive o meno.

Dopo anni di nessuna possibilità di dialogo sulla questione, dal 1988 sono stati organizzati degli incontri, a cadenza più o meno annuale (sono stati una ventina in tutto fino ad oggi), in cui poche decine o centinaia di estratti a sorte, hanno avuto la possibilità di incontrare brevemente i propri cari, appena al di là del confine, sul monte Kumgang, in territorio nord coreano.

All’epoca furono 129mila i cittadini che si registrarono come componenti di famiglie separate; oggi, come riporta il sito Asianews, in vita ne rimangono 61mila, il 62% dei quali con un’età ormai superiore agli 80 anni, e il 20% addirittura con più di 90 anni. D’altronde la guerra è finita 64 anni fa, i bambini di allora sono oggi al termine della loro vita. Solo nei primi tre mesi del 2017 ne sono morti oltre 1200, secondi fonti del governo sud coreano, mentre nel corso del 2016 3378 fra loro hanno terminato la propria esistenza terrena senza aver più avuto notizie dei propri congiunti. Una lenta, estenuante tortura, retaggio della guerra fredda, che più o meno ovunque è finita attorno al 1989, tranne che in questo angolo di mondo. Dopo la guerra la Corea del Sud ha iniziato un lento percorso che è sfociato nel 1993 nella prima elezione di un presidente non espressione di una giunta militare, mentre l’economia della nazione è cresciuta in maniera esponenziale raggiungendo un Pil pro capite del tutto simile ai più ricchi Stati europei. Nel Nord la dinastia dei Kim ha condotto la nazione alla miseria e alla pressoché totale inaccessibilità, costruendo al contempo un esercito che è fra i più numerosi al mondo, se non il più numeroso ( 1 milione di effettivi, 8 milioni di riservisti, il 20% degli uomini fra i 18 e i 54 anni impiegati nelle forze regolari).

A pagare le spese della situazione paradossale è per l’appunto la popolazione, 24 milioni i nord coreani, 50 circa i sud coreani, costretta a vivere separata chissà ancora per quanto, in nome di una guerra permanente di cui fra un po’ di tempo si faticherà pure a ricordare la causa scatenante, mentre i militari sorvegliano il confine come i protagonisti del Deserto dei Tartari difendono la fortezza Bastiani da un nemico che non arriverà.

Immagine: di yeowatzup, via Flickr

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