Alcune settimane fa ho partecipato alla «Giornata del fondatore», durante la quale è stato ricordato il 222° anniversario della concessione dello statuto dell’Union College di Schenectady. La cerimonia si è tenuta nella Cappella, non più utilizzata per i culti domenicali da diversi decenni. Vedendo entrare i professori con la toga, in corteo, preceduti da un suonatore di cornamusa, ho provato una sensazione di «già visto». Una sensazione che è andata crescendo assistendo allo svolgimento della celebrazione. Dal saluto iniziale si è passati alla presentazione dell’incontro, per poi arrivare al momento centrale: la prolusione del prof. Frederick M. Lawrence. È stato solo alla fine, quando i professori sono usciti ordinatamente così com’erano entrati, che mi si è «accesa la lampadina». Avevo appena assistito alla versione profana del corteo sinodale di Torre Pellice, con relativo culto civile. Ed è stata la madeleine di Proust…
D’improvviso, ho realizzato come non potevo comprendere gli Stati Uniti (anche quelli del nuovo millennio!) senza conoscere, o ignorando, la loro storia religiosa: una storia sostanzialmente cristiana e prevalentemente protestante. Perché, mi ero chiesto a volte, tanta insistenza sulla libertà di parola, sulla libertà individuale e sulla laicità delle istituzioni da parte della società americana? Perché nell’inconscio collettivo di questo paese rimane la fuga da un continente oppressore (l’Europa); da un mondo in cui il pluralismo religioso era impensabile e quindi la libertà di pensiero impossibile; la fuga da una società ancora largamente feudale, con sudditi e servi della gleba, vincolati al cuius regio, eius religio. E le colonie del nordamerica nacquero da questo desiderio: vivere liberamente l’evangelo in una società organizzata coerentemente con la fede cristiana professata.
Poi, a un certo momento, si è creata una frattura: i credenti e la chiesa da un lato e i non credenti e le persone non interessate alla religione, dall’altro. Eppure, queste due componenti della società americana hanno avuto la stessa origine, condividono molti valori e combattono assieme molte battaglie. È una tragedia quando queste due componenti non si riconoscono, si ignorano o addirittura si avversano. Com’è possibile che tante denominazioni non sappiano riconoscere come la libertà di aborto, per fare solo un esempio, sia figlia di quella libertà di coscienza, della quale la libertà di credere, che esse difendono tanto gelosamente, fa parte?! E che enorme fraintendimento è il considerare le chiese e i credenti come zavorra conservatrice, quando essi sono stati e continuano spesso a essere «sulle barricate», per esempio sul tema del testamento biologico? Lo ripeto: quando questo avviene è una tragedia, perché significa che la chiesa non sa più riconoscere nei laici i propri figli e nipoti; e vuol dire che le persone secolarizzate hanno dimenticato chi sono e da dove vengono. L’idea che i non credenti e gli indifferenti possano solo tornare sotto le ali della chiesa rischia una deriva teocratica (medio evo? No grazie); ma l’idea che Dio sia morto e la fede sia una semplice superstizione, rischia un approdo totalitario (…ismo? Abbiamo già dato). Un approdo, magari, benedetto dai resti della stessa chiesa: non più popolo di credenti, ma pura istituzione.
Se gli Stati Uniti sapranno restare una società aperta, inclusiva e tollerante, in cui la libertà del singolo individuo (libertà di parola, di culto, di autodeterminazione, di orientamento etico e sessuale) sarà preservata e le varie componenti della società sapranno riconoscersi non come alternative, ma come complementari, allora questo meraviglioso paese avrà un futuro. E noi sparuti protestanti italiani, assieme alla Riforma del XVI secolo, avremo un altro «sole che tutto rischiara» (Hegel). Perché se non ce la faranno loro – guai a noi!