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C’è un piccolo paese di 2600 abitanti in Dordogna, un centinaio di km a est di Bordeaux, chiamato La Force. Un nome che sembra un programma, soprattutto pensando al pastore calvinista di origine svizzera che qui fondò una grande e innovativa opera filantropica: Jean Antoine Bost, conosciuto come John Bost (1817-1881).

Nel giorno del bicentenario della sua nascita, il 4 marzo è stato inaugurato il Museo dedicato a lui e alla moglie Eugénie. Una piccola casa a un piano che contiene oggetti, immagini, scritti, planimetrie e modellini del grande progetto.

John Bost aveva un motto: «Quelli che tutti respingono, io li accoglierò nel nome del mio Maestro. Senza muri, senza recinzioni, e metterò dei fiori sul loro cammino». Quelli che tutti respingevano erano i malati psichici, gli epilettici, i disabili, ma anche le ragazze madri, le vedove, le persone senza risorse.

L’idea di accogliere coloro che non erano accettati dalla società in un luogo aperto e gradevole era all’avanguardia, e lo rese un pioniere dell’azione sociale. In un’epoca in cui la psichiatria era agli albori e negava il recupero degli «idioti», Bost aveva le idee chiare: «Non guardo a ciò che ho fatto, ma a ciò che ho ancora da fare», e nel suo intento di «rifare» le persone che secondo la mentalità dell’epoca erano state «fatte male», non si limitava a dare loro un tetto, ma forniva un’educazione e un lavoro, insomma una ragione di vita.

Gli uomini di scienza non credevano nel suo sistema, ma Bost sapeva come convincere i finanziatori ad aiutarlo, spinto da una fede incrollabile e da un carattere piuttosto deciso.

La sua storia trovò posto anche nelle pagine del giornalino protestante L’Amico dei fanciulli, all’epoca edito a Firenze dalla Claudiana, che nel 1886 pubblicava un lungo articolo sulla genesi di questa opera meritoria. I toni erano quelli tipici dei racconti dell’epoca, sospesi tra apologia filantropica e scenari di povertà e abbrutimento.

Si raccontava come a Parigi Bost si fosse imbattuto in «una troppo giovane madre [che] gli disse: “Ah! sapeste cos’è l’esser lasciata orfana a quindici anni sul lastrico di Parigi!”», e tornato a casa avesse trovato davanti alla porta un fagotto accompagnato da una lettera: «Vi supplico di accogliere una creaturina che si trova nelle più lamentevoli circostanze: l’abbiamo raccolta di sopra un letamaio; la madre è in carcere; essa ha tutti i segni dell’imbecillità».

Per risolvere questi due casi tragici, cui si erano presto aggiunte altre bambine abbandonate, paralitici, ciechi, il pastore aveva deciso di aprire un «asilo», inteso come luogo di educazione ma innanzitutto come luogo di accoglienza e rifugio, e grazie alle donazioni risultanti dal «vivo interesse in Francia, in Svizzera, in Gran Bretagna, in Olanda» (si legge ancora su L’Amico) l’opera s’ingrandì fino a raggiungere il numero di nove edifici.

Nel 1848 si costituì la fondazione che ancora oggi si occupa di 1500 persone, giovani e adulti, disabili di tutte le età e anziani non autosufficienti, in più di trenta istituti in varie zone della Francia.

Intervistato da Réforme, il direttore generale, pastore Christian Galtier, ha spiegato che ancora oggi gli obiettivi sono gli stessi, permettere alle persone non autosufficienti di «seguire un percorso per l’intero corso della loro vita, nello stesso ambiente, non in modo discontinuo come capita spesso, aggravando la loro condizione di fragilità». Per rispondere meglio ai bisogni delle persone, la Fondazione intende ampliare ulteriormente la sua azione in altre regioni della Francia, dalla Normandia all’Occitania.

Per la sua vasta opera medico-sociale John Bost ottenne importanti riconoscimenti: cavaliere della legion d’Onore nel 1866, i suoi asili furono riconosciuti dallo Stato come stabilimenti di pubblica utilità nel 1877 e l’anno successivo Bost ottenne la medaglia d’oro all’Esposizione di Parigi per l’assistenza pubblica.

Alla storia di John Bost sono stati dedicati alcuni libri: La Saga Bost, di Patrick Cabanel e Laurent Gervereau, edizioni Labor et Fides, il Journal d’Eugénie Bost, femme de tête, femme de cœur, femme de foi (Gabrielle Cadier, edizioni Ampelos) che contiene la testimonianza diretta attraverso il diario quotidiano della moglie Eugénie, un quadro vivo e a tratti umoristico del mondo protestante francese degli anni ’60-’80 dell’Ottocento. Ma anche un fumetto, appena uscito per La Boite à Bulles, che unisce il racconto disegnato agli approfondimenti (John Bost, un précurseur à La Force, di Bruno Loth e Vincent Henry).

Immagine: di Emile Claus - oeuvre d' Emile Claus (1849-1924) – l'Illustration Européenne – scan by loki11, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5327347

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